lunedì 17 aprile 2017

L’OMBRA CHE SIAMO

L’OMBRA CHE SIAMO (di Martina Guerrini)

Di comidad




A proposito di un dibattito su natura e progresso

Il cuore, quest’oscuro fiore celestiale,
sboccia misteriosamente.
Non si darebbe quell’ombra per tutta quanta la luce.
Victor Hugo, Les Misérables

La premessa di ogni dibattito che si desideri più inclusivo e più stimolante per chiunque è intendersi sui concetti.

Può sembrare una banalità, ma dare per scontato che tutti e tutte siano d’accordo con una “certa” definizione dell’oggetto di cui discutiamo è speculare a chi ogni giorno vorrebbe convincerci che questo modo di vivere è l’unico esistente. Dunque imparare almeno a nutrire qualche dubbio sulle certezze oggi circolanti può essere un buon punto di partenza per ri-posizionare una discussione, e, in ogni caso, lo è per me.

Dunque muoverei qualche dubbio sulle certezze dei seguenti concetti: natura umana, artificio, tecnica, tecnologia, progresso, scienza, natura. Perché niente di queste sicure “cosalità” è al riparo dall’esercizio egemonico operato dai dominatori nel renderle così come sono, e non come potrebbero o non potrebbero essere.

Rosa Luxemburg scriveva che – al netto delle differenze politiche – quando un pensiero non si muove più ma si fissa, si immobilizza, allora si può ragionevolmente parlare di pensiero reazionario. Così abbiamo anche in prestito una definizione particolarmente azzeccata di reazionarismo: quanto mai opportuna, se pensiamo che i più grandi teorici nazisti e fascisti, oltre a quelli alla destra del fascismo e del nazismo, e oltre ancora a quelli della Nouvelle droite francese, parlano di nevrosi rivoluzionaria, definendo questa smania pruriginosa (sessuale?!) dei rivoluzionari di cambiare il mondo. E di fatti, per costoro l’unico movimento consentito è all’indietro, verso una rivoluzione conservatrice, la cui essenza risiede nell’antimodernismo e nel rifiuto del progresso, partendo dal presupposto che tutto ciò che muove in avanti crea una perdita, una mancanza. Dunque i rivoluzionari sono dei nevrotici castrati: ricordare ogni tanto il motivo dell’odio aiuta a posizionarsi con maggiore circospezione in terreni storicamente minati.

Uno dei problemi, oltre alla necessità di chiarirci tra noi il significato dei concetti di cui parliamo, è infatti la difficoltà che sperimentiamo a condurre una nostra battaglia su temi di grande complessità sui quali i più grandi rivoluzionari – marxisti, anarchici – si sono confrontati e, talvolta ma non sempre, scontrati.

Sono almeno 150 anni che il movimento rivoluzionario si divide sull’importanza della natura e il ruolo della scienza, basti pensare a quanto tale divisione attraversasse il populismo e il nichilismo russi fin dal 1860.

Quindi a coloro che oggi si chiedono il motivo di tanto discutere intorno alle biotecnologie, alla nostra “naturalità”, al progresso – come se tutto ciò non avesse a che fare con la rivoluzione sociale – potremmo ricordare i numerosi interventi di Errico Malatesta (ad esempio in “Pensiero e volontà”, per fare il primo esempio che mi viene in mente), gli scritti filosofici di Michail Bakunin, i Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci e il primo libro del Capitale di Karl Marx. Potrebbero stupirsi di trovarvi riflessioni assai ricche, e, soprattutto, tutti e tutte noi impareremmo quanto a lungo e con quanti rimandi si è intervenuti per ridefinire, meglio situare, collocare, delimitare, approfondire questi stessi concetti, oggi frequentemente stiracchiati e sciabordati, spesso e volentieri (diciamoci la verità vera) a fini di posizionamento politico interno al movimento. Sinceramente un po’ di malinconia e di tristezza non può che emergere, al pensiero che Bakunin polemizzava con Auguste Comte e i positivisti, Malatesta discuteva di evoluzionismo, Kropotkin lavorava ad una sua posizione autonoma nel dibattito darwiniano dell’epoca, Gramsci criticava il pensiero dogmatico, Marx scopriva che la naturalità dell’essere umano sconfina nella sua restituzione mediata dal lavoro (anche questo è “Il Capitale”, oltre ad un testo determinista sulla fine del capitalismo).

Onestamente, di fronte agli immensi casini che l’inquinante, sfruttatore e putrescente sistema di sviluppo capitalistico sta provocando a tutti gli esseri senzienti e non della terra, forse sarebbe opportuno – per noi anarchici e anarchiche – comprendere quale posta in gioco ci stiamo giocando e utilizzare la nostra intelligenza, curiosità, senso critico, per muovere una radicale offensiva contro i padroni dello sfruttamento e del disastro, non per posizionarci tra di noi.
E di questo parliamo, poiché oggi il Politico è mero amministratore delle macerie che ha contribuito a spargere dappertutto, con buona pace (nel senso tombale del termine) dei riformisti o degli introvabili sinceri democratici.

C’è poi un’altra questione che mi pare niente affatto compresa e che invece ha molto a che fare con il modo con il quale stiamo elaborando i nostri pensieri: tutta questa luce bianca, tutta questa limpidezza, trasparenza che permea la superficie liscia e levigata delle argomentazioni su questi nodi, serve a rassicurarsi o ad aver ragione una volta per tutte? Questa smania di sistema, di conchiudere una riflessione come un fortino assediato, di strangolare le ombre, certo, fa molto radicale, ma a ben vedere dimostra anche la fragilità di alcuni Assoluti, che come insegnava Max Stirner, negano chi sei nominando cosa sei.

Non si tratta di non avere una posizione, al contrario, si tratta di averne milioni differenti le une dalle altre, come per fortuna solo gli anarchici e le anarchiche sanno fare, e mi chiedo se qualcun’altro oltre a me, in questa giravolta di Assoluti da difendere o negare, ha visto che fine ha fatto l’Unico che siamo.

Potremo discutere quanto vogliamo, su cosa siamo: le femministe ci spiegheranno che cosa è la Donna, i preti cosa è l’Anima e il Corpo da essa scissa (come una pustola fastidiosa), i razzisti e le differenzialiste cosa è la Differenza (sessuale, simbolica, spirituale, culturale, fate voi), altri cosa è la Natura, il Progresso, la Scienza etc.

Agli anarchici e alle anarchiche interessa ancora come gli Unici si relazionano, negano, rifiutano, sovvertono, negoziano il “cosa sono”?

Si è capito che libertà non è identità, e che identità non fa rima con individualità?

E se la libera individualità - irriducibile alle cose - fosse l’ombra maestosa e potente, negata, espropriata, de-naturalizzata, dall’odierno luminoso sistema capitalistico?

Se fosse in quel nocciolo duro da ricercare la spinta per distruggere questo progresso utile soltanto a mantenere questo sistema di sviluppo?

Se la natura che ci sentiamo sfuggire dalle mani non fosse altro che la dis-connessione tra noi e la nostra vita sensibile, attaccata con armi di distruzione di massa linguistiche, tecnologiche, mercificanti? Se, insomma, scoprissimo che la nostra “natura” non è che un irriducibile niente magnificamente e individualmente trasformato da corpo e mente in una corsa contro il tempo di rivoluzioni, cambiamenti, volontà, desideri, passione, amore?

Se fossimo noi stessi a mancarci, come ci manca il fiato in una gabbia, o il nostro amore che non torna più? Se usassimo più poesia e meno tecnica per conoscerci, se saperci umani, naturali, artificiali, donne, uomini, trans, gay, lesbiche, black, colored – alla fine - non ci bastasse più?
E se fosse questa la guerra che ci è stata dichiarata dalla notte dei tempi, e avessimo – ancora una volta – sbagliato strada?

Martina Guerrini
Livorno, aprile 2017

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