lunedì 25 gennaio 2010

La rivoluzione del mandorlo; SARDEGNA: STATUTO E SOVRANITA'

24.01.2010

Convegno a Santa Cristina di Paulilatino

Organizzazione:

FONDAZIONE SARDINIA



TEMA

SARDEGNA: STATUTO E SOVRANITA'

Movimenti presenti:


iRS (indipendentzia Repubrica de Sardigna)

SNI (Sardigna Natzione Indipendentzia)

PSdAz (Partito Sardo d'Azione)

ROSSOMORI

SD (Sardegna Democratica)



SA DEFENZA SOTZIALI

Il mattino prometteva una giornata radiosa (24.01.010) , il sole era alto, ed il cielo bello azzurro e terso, qualche piccola discussione tra amici per le scie chimiche che vedevamo a distanza tracciate sul nostro bel cielo, e si intrecciano e incrociano a modo di triangoli e quadrati a nord ovest di Santa Cristina di Paulilatino (SCP) dove noi indipendentisti insieme ad altri soggetti sardisti stavamo per convenire e dialogare su: Sardegna, Statuto e Sovranità , organizzato dalla Fondazione Sardinia.

Il nostro ospite Salvatore Cubeddu, presenta i partecipanti al convegno: Giovanni Colli, Renato Soru, Carlo Sechi, Pietrino Soddu, Bustianu Cumpostu, Gavino Sale, Uriel Bertram (parlamentare indipendentista catalano), Elizenda Paluzie (Preside della facoltà di economia Università di Barcellona), Jordi Mirò (leader dell’indipendentismo catalano).

Un nuovo soggetto aleggia nell'aria la Natzione Sarda.

Un convegno che risponde positivamente, finalmente, alle istanze di rivedimento degli accordi sbagliati del No vembre del 1847 con il Re Savoiardo usurpatore della nostra sovranità!

Inizia il dibattito Carlo Sechi dei Rossomori di Alghero che inizia con la lettura dello statuto della natzione Catalana e rimembra la sua appartenenza a tale cultura, (ad Alghero si parla catalano), in realtà fa un d

iscorso più sindacale che appropriato all’argomento del convito.

L’onorevole Pietrino Soddu , nonostante il suo passato di ex democristiano, non ha deluso le aspettative del convegno nè la capacità oratoria e storica, che ha scaldato la platea con un bel intervento imperniato sulla storia della perdita dell’indipendenza sarda del 1847/48, a motivo della povertà economica e culturale a cui sottostava la Sardegna popolare ed intelletuale di allora.
La speranza era, che, la fusione producesse una qualità di riscatto dalla fame e dalla sudditanza che però ben presto venne frustrata e consumata dagli imperialisti e aproffittatori Piemontesi, altro che fruttuoso accordo per la causa Sarda!

La rinnovata perdita dell’indipendenza si ebbe nel 1948 con la emanazione della cosidetta Autonomia della regione Sarda profusa dallo stato Repubblicano Italiano uscito dalla guerra dichiarata dallo stato fascista, ha mantenuto e palesato lo stesso comportamento con la nostra natzione, sostenuto dal nuovo Meri Americanu.

La cosa non ha prodotto alcun buon risultato per la nostra causa , anzi, ha determinato una ulteriore sudditanza a livelli coloniali, che ancor oggi a distanza di sessanta anni e più continuiamo a scontare, e l'evidenza la vediamo nello sfruttamento che attuano nel nostro territorio con la occupazione militare di enormi quantità di territorio ,( in mare più di due milioni di ettari più di mille volte lìestensione della nostra terra), con ricadute ambientali drammatiche sia per la questione sanitaria che per la questione sociale,(malattie come linfomi, leucemie e incompatibilità genetiche sono diffuse a morivo delle sperimentezioni attuate sulla nostra terra), inoltre la impari dignità, autor ità e sovranità, proprio il contrario di quanto era sottinteso nell’accordo del 1847/48, è stata ampiamente smentita dalla Storia, e se si vuole essere concreti e realisti essa ci ha creato più problemi che soluzioni pragmatiche, cosa ci induce ad essere ancora soggetti a tale accordo?

Abbiamo bisogno ancora d'altro per capire ch'è giunta l'ora della separazione consensuale?


Nulla di tutto ci ò è da considerarsi attivo e gratificante per Noi Sardi, e pensiamo sia giunta l'ora ed è questa, che sia il caso di rimettere in discussione tutto l'apparato sia legislativo che economico che militare, costruito e costituito sullo sfruttamento di una sola parte: la nostra, perciò affermiamo che è ora di riprenderci la nostra libertà!


Noi de Sa Defenza pensiamo che su tale accordo che virtuale non era, dobbiamo tagliare corto e cancellare la nostra so fferenza centenaria , abbia mo appurato che se c'è stato beneficio c'è stato solo per gli "amici" Italiaoti, di conseguenza non vogliamo essere da meno da loro, e perciò un solo eco vogliam sentire: ognuno d'ora in poi và per la sua strada!

Anche il Segretario del PSdAz Giovanni Colli , ha messo il punto sulla proposta loro che giace nel parlamento Regionale, la dichiarazione di indipendenza dall’Italia, cui il PdL loro alleati di governo ha per ora messo in un cassetto che spera diventi un dimenticatoio. Il segretario Colli ha affermato che presto s arà posta la questione che non può essere più rinviata a sine die.

Bustianu Cumpostu Coordinatore di Sardigna Natzione Indipendentzia, ha avanzato l’idea di consultare parallelamente, il popolo sardo, alle elezioni provinciali che si terranno a Maggio, per vedere e capire se è comune sentire l’argomento sovranità e autodeterminazione della patria sarda.

Gavino Sale Presidente di iRS Indipendentzia Repubrica de Sardigna, ha posto l’accento sul referendum Catalano che ha portato 60 paesi a votare sull’indipendenza Catalana dalla Spagna, vi è stat o un indubbio successo che ha visto il 60% dei votanti dei circa 700.000 elettori esprimersi sul referendum dell’autodeterminazione della Catalunia, di questi che hanno votato il 95% si è espresso a favore della indipendenza della loro nazione catalana.

Renato Soru ha rivendicato la bontà del suo governo della passata legislatura ed ha ribadito la giustezza delle leggi salva coste e delle tasse per gli Yacht, gli esempi adotti sono sicurame nte chiari ed esaustivi della giustezza delle sue dichiarazioni.

I patrioti catalani, con l’intervento del Deputato Catalano Uriel Bertram e la Preside Elizenda Paluzie, ci hanno sp ie ga to gli aspetti che li riguarda rispetto alla loro attività e la lotta attuata per la loro libertà dalla Spagna, e ci hanno invitato a far riferimento all’Europa dei popoli che anche se non ancora rappres entata dall’attuale governo Europeo bisogna farvi riferimento affinchè la propria soggettività e identità sia accettata e riconosciuta dall’istituzione sovranazionale Europea...

La giornata è stata proficua per la Sardegna ed il suo popolo , abbiamo visto finalmente l’unità d’intenti

di parte rilevante dei soggetti politici rappresentanti dei sardi e la natzione sarda.

Abbiamo visto consumarsi davanti ai nostri occhi la divisione in seno ad iRS; da una parte la Segretaria Demuru, espressione della linea Sedda-Sanna, ha attaccato frontalmente la posizione collaborativa del suo Presidente smentendo le posizioni da Lui espresse, dall'altra l’accorato discorso di Gavino Sale “agli uomini ed alle donne di iRS” a prendere una posizione a favore dell’unità del progetto esposto dall’assemblea che teneva il convegno, Gavino Sale ha reso manifesta la divisione interna.
Ha manifestato a favore di una più ampia coalizione, rappresentativa della costituzione statuale, della sovranità e dell’autodeterminazione della natzione sarda.

autori V.Erriu













martedì 19 gennaio 2010

ARRIVA IL BENGODI NUCLEARE

DI CARLO BERTANI
carlobertani.blogspot.com/

Mentre i giornali ci solleticano con le abituali vicende legate alle tasse – oggi si tolgono, domani no, troppo tardi, forse dopodomani… – oppure con le molte leggi e leggine utili a riformare la giustizia (minuscolo) per il solo comprensorio di Arcore, sono state emanate le direttive per le future centrali nucleari. In sostanza, si dice che dovranno essere vicine all’acqua e lontane dalle aree sismiche: elucubrazioni che, anche chi non è Pico della Mirandola, già sapeva.
Poi si parla d’incentivi: una manna – gente! – incentivi “a pioggia”, per tutti! Chi vorrà, potrà prendere visione del decreto in nota [1].
Insomma, con il “rientro” di 95 miliardi di euro, grazie al bel regalo dello “Scudo Fiscale” – hanno pagato il 5% di tasse mentre avrebbero dovuto pagare il 40% – ci saranno tanti soldini per fare tante cose, nucleare compreso?

Ma, quanto costa una centrale nucleare?



Il costo medio attuale di una centrale nucleare è di circa 2000-2200 euro/kWe installato, ovvero il costo in conto capitale di una centrale da 1000 MWe è di circa 2 miliardi di euro. Il costo dell’EPR da 1600 MWe (il reattore europeo di III Generazione fornito dalla franco-tedesca Areva) è di 3 miliardi di euro [2].

In realtà, sul Web circolano anche altre cifre – qualcuno arriva a dichiarare 15-20 miliardi di euro per il solo reattore – ma quelle più attendibili variano in una “forbice” fra 3-7 miliardi di euro. Il nodo, non facile da districare, riguarda cosa s’intenda per “costo”: il reattore, oppure la struttura? Entrambi?
Non dimentichiamo che, proprio per il nucleare, ci sono delle procedure d’infrazione aperte dall’UE per il finanziamento “occulto”, usando fondi statali per finanziare imprese private, che lavorano in quello che dovrebbe essere un libero mercato [3]. Insomma, un ginepraio.
In effetti, la cifra di 5 miliari di euro per una centrale (struttura + reattore) da 1600 MWe è credibile, ma qui salta fuori un altro coniglio dal cappello: la “levitazione” dei costi.

Un chiaro esempio di questi problemi è la costruzione in corso a Okiluoto, in Finlandia, di un reattore europeo pressurizzato ad acqua (EPR) di nuova generazione – il primo reattore di questo tipo – che dopo soli diciotto mesi di costruzione ha già accumulato un ritardo di diciotto mesi sul programma, superando già adesso il budget previsto di 700 milioni di euro [4].

I tempi di costruzione delle centrali, dagli anni ’70 ad oggi, sono praticamente raddoppiati: per la maggior complessità tecnologica, per i sistemi di sicurezza, ecc. Se non sono riusciti a star “dentro” nei tempi (e quindi nei costi) tutti gli altri, c’è da sperare che ci riusciremo noi italiani?
Si potrà ricordare che il reattore finlandese è di nuova generazione, ma il fenomeno del procrastinarsi dei tempi di costruzione è un fenomeno planetario, che riguarda anche le centrali non sperimentali.

Poi, bisogna conteggiare i finanziamenti per “compensazione” alle popolazioni (termine assai poco chiaro) che ammonteranno a 3-4000 euro/anno per MWe installato: in pratica, una centrale da 1.600 MWe sborserà a “qualcuno” circa 6 milioni di euro l’anno.
Nel decreto recentemente approvato [5], si parla addirittura di “interventi a pioggia” per tutti: Comuni, Province, sconti sull’IRPEF, sulle forniture elettriche…ancora…roba da Babbo Natale Atomico, mica scherzi.
Saremo curiosi di verificare, dopo le elezioni regionali, quando si saprà chi si “beccherà” la centrale sulla cocuzza – prima no, ovvio, votate tranquilli… – quante di queste “piogge” di denaro rimarranno.
Bisogna stare attenti quando si parla di provvedimenti a favore della popolazione, perché quei soldi s’intendono dati agli amministratori locali, che sono cosa assai diversa dalle popolazioni.
Scusate il sospetto, ma i trucchi delle tre carte di Tremonti li conosciamo da tempo: magari “cartolarizzerà” quei benefici, “spalmandoli” in 25 esercizi finanziari…roba del genere…ma la centrale arriverà, sicuro. Cioè, sicuro: forse.
Calcolando benefici a “pioggia”, costi di costruzione e quant’altro…chiudiamo la faccenda a 7 miliardi di euro per una centrale da 1.600 MWe per 25 anni? Senza considerare, ovviamente, l’Uranio, il personale, le scorie…

I sostenitori del nucleare affermano che la “forza” di quel sistema è una produzione continua, senza interruzioni: falso. Anche le centrali nucleari, come tutti i sistemi complessi, necessitano di manutenzione: altrimenti, si spalancano veramente le porte dell’Inferno Nucleare.
E’ appena passato Natale e vogliamo essere generosi: concediamo a quelle centrali di produrre alla massima potenza per l’80% del tempo, da quando entreranno in funzione (circa 2020) al 2045.
Una centrale da 1.600 MWe produrrà, in un anno (all’80%), circa 11,2 milioni di MWh (11,2 TWh), in 25 anni 280 milioni di MWh (280 TWh).

Quanta potenza elettrica di fonte eolica sarebbe possibile installare con 7 miliardi di euro?
Calcolando il costo di 1 MW di potenza eolica installato in mare – lontano dalla costa, su piattaforma ancorata, invisibile da terra – in 1,3 milioni di euro [6] (+ 25-30% rispetto agli impianti a terra [7]), potrebbero essere installati 5.385 MW. Quanto produrrebbero in 25 anni?

Siccome le mappe eoliche del CESI [8] stimano nella aree marine del basso Adriatico, del Canale di Sicilia e del Sud della Sardegna (fondali inferiori ai 100 m) una produzione alla massima potenza per +3.000 ore l’anno, quegli aerogeneratori produrrebbero, sempre in 25 anni, circa 404 milioni di MWh (404 TWh). 124 TWh in più della centrale nucleare!
Crediamo bene che gli alfieri della “estetica ambientale” si spellino la lingua, in TV, contro l’eolico: potremmo addirittura ipotizzare che qualcuno paghi, e parecchio, per tanto fervore!
Difatti, negli altri Paesi stanno abbandonando il nucleare per investire nell’eolico: lo fa, addirittura, l’ENEL in Texas!

124 TWh in più senza considerare che la manutenzione dell’eolico è infinitamente meno onerosa rispetto ai costi del materiale fissile, del personale e della custodia delle scorie (peraltro, ben lontana dal trovare una soluzione)!
A questo punto c’è la solita obiezione: le rinnovabili non sono affidabili poiché intermittenti, poco costanti.
Ciò è vero, e sarebbe una follia affidarsi al solo eolico.

Carlo Rubbia – oramai solo “di passaggio” in Italia – non ha mancato di “tirare le orecchie” al governo per lo strampalato piano energetico di Scajola & Co: riteniamo che un Nobel italiano, il quale sta operando proprio nel campo delle rinnovabili (solare termodinamico), almeno il diritto di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (per come è stato trattato…) ce l’abbia.
In qualsiasi Paese – diciamo solo “normale” – sarebbe Rubbia a stendere il piano energetico, anche perché il solare termodinamico sta funzionando benissimo in Spagna, i tedeschi stanno cercando joint venture per installarlo in Africa, Israele ci sta pensando, così l’Algeria, il Marocco…
Insomma, tante nazioni rivierasche del Mediterraneo puntano su sole e vento…e noi – ma saremo proprio i più furbi della nidiata? – pianifichiamo un obbrobrio costoso, tutto d’importazione, meno redditizio e…ancora cantiamo?

Un serio piano energetico dovrebbe poggiare principalmente su tre direttrici: solare termodinamico, eolico e biomasse di scarto. Perché?
Poiché le energie naturali sono anche energie stagionali, ossia dipendenti dalla meteorologia, dalla stagione, dai capricci del tempo.
Se è vero che il solare termodinamico, grazie all’inerzia delle alte temperature generate, riesce a soddisfare anche la richiesta notturna (che è sensibilmente inferiore di quella diurna, circa 1/6), poco può fare quando ci sono prolungati periodi di cielo coperto. In Inverno, ad esempio.
Ma, proprio in Inverno, in Primavera ed in Autunno la circolazione dei venti è consistente, favorendo così l’eolico. Il quale, è certamente meno favorito d’Estate (ampia omeotermia nel Mediterraneo, e quindi ridotta circolazione dei venti), quando il termodinamico raggiunge le migliori rese.

Ogni anno, poi, in Italia generiamo 30 milioni di tonnellate di scarti dell’agricoltura, della silvicoltura e delle industrie di trasformazione (segherie, ecc): scarti “puliti”, non come i rifiuti, materiali che si possono utilizzare ovunque.
Calcolando in circa 4.000 Kcal/Kg l’energia che si può ricavare da quegli scarti, essi corrispondono all’incirca a 12 MTEP, ossia a 12 Milioni di Tonnellate di Petrolio, circa il 6% del fabbisogno energetico nazionale.
Di più: proprio perché quegli scarti non inquinano, potrebbero essere utilizzati in un ciclo combinato, ossia per produrre energia elettrica e riscaldare le abitazioni con il vapore esausto delle turbine.
Oggi, nelle centrali termoelettriche, il rendimento non supera il 35%: la gran parte dell’energia se ne va, sprecata, nei fiumi e nel mare, nelle acque usate per il raffreddamento nei condensatori. Nelle centrali a ciclo combinato – proprio perché il calore non viene dissipato bensì utilizzato per riscaldare le case – il rendimento raggiunge già oggi il 60% [9], ma con l’affinarsi delle tecnologie potrebbe migliorare.

Vorremmo proporre una considerazione ed un’esortazione.
Abbiamo fior fiore di tecnici e ricercatori, bravissimi, in grado di progettare e migliorare qualsiasi settore energetico: sanno fare bene il loro lavoro, al punto che alcune piccole industrie lavorano come sub-contraenti per l’industria eolica.
Abbiamo aziende in grado di produrre meccanica di precisione, elettronica di supporto, ecc: non sono questi i problemi.
Mancano filosofi.
Ci vogliono persone in grado di dialogare, di proporre, di valutare – senza pelli di salame agli occhi – le future scelte.
Avere un Rifkin sarebbe chiedere troppo?
Forse mi sono sbagliato, i “filosofi” ci sono: non mancherà, per caso, chi li dovrebbe interpellare? Ad ascoltare certe fregnacce televisive, il dubbio viene.
E veniamo all’esortazione.

Prima di gettare nel nucleare del 2020 miliardi che, per ora, manco ci sono, perché non modificare il piano energetico – a questo punto suddiviso su più esercizi finanziari e con “ritorno” quasi immediato degli investimenti, non nel 2020 – su quelle tre direttrici come esperimento pilota?
Tralasciamo, in questa sede, altre forme d’energia, il risparmio energetico e il dilemma di scegliere fra grandi impianti oppure sistemi per l’autosufficienza energetica: la questione diverrebbe troppo complessa, e ci torneremo in un prossimo articolo.
Restringendo l’indagine a questi soli tre sistemi di produzione energetica: quale scenario potremmo ipotizzare?

Alcune centrali termodinamiche nel Sud, “campi” eolici in mare e centrali a biomasse laddove c’è più produzione di scarti agricoli. Poi, fra pochi anni – da tre a cinque, non nel 2020 – potremmo già tracciare delle conclusioni, verificare i problemi, migliorare i sistemi, ecc.

Distribuendo i campi eolici al limite delle acque territoriali (12 miglia, circa 23 Km, invisibili da terra), in tre zone ben definite: le coste adriatiche pugliesi, il Canale di Sicilia e l’area a Sud di capo Teulada, l’incostanza del sistema eolico sarebbe compensata dalla distanza poiché, chiunque abbia un minimo d’esperienza di mare, sa che è praticamente impossibile avere le medesime condizioni di vento in aree così distanti.

Le centrali a biomasse potrebbero sorgere nei pressi di grandi città della pianura padana (forte produttrice di scarti agricoli), così da non incorrere in significative perdite per il trasferimento sulla rete elettrica di distribuzione e facilitando, per la stessa ragione, il teleriscaldamento delle abitazioni. Funzionando prevalentemente durante l’Inverno, compenserebbero la scarsa produzione termodinamica. Un’accorta programmazione – dato che il trasporto delle biomasse è uno dei principali fattori di costo – prevedrebbe, in parallelo, di riattare la rete fluviale italiana, dal Po ai canali limitrofi, compresa l’area veneta, ed un maggiore impulso alla navigazione di cabotaggio. Sono interventi non molto costosi, per altro finanziabili in parte con fondi europei.

Per le centrali termodinamiche servono poche parole: che fine ha fatto la modesta centrale sperimentale di Priolo Gargallo, appaltata all’ENI per la costruzione e la messa in esercizio? Di questo passo, potremmo dare in appalto l’Arma dei Carabinieri ad una holding paritetica fra Mafia, Camorra e N’drangheta.
In realtà, il termodinamico sta avanzando nel Pianeta [10], e in Spagna stanno passando dalle prime centrali da 50 MW a quelle, in fase di progettazione, da 300 MW. Se e quando funzionerà Priolo Gargallo, sarà una delle prime centrali progettate, ma avrà la minor potenza fra tutte le altre: 5 MW.
Tutto questo, nonostante Rubbia abbia dimostrato che una superficie di specchi pari a quella compresa all’interno del raccordo anulare di Roma provvederebbe, da sola, ad un terzo del fabbisogno nazionale.

Concludendo, potremo riassumere la faccenda in poche considerazioni.
I dati sui costi reali dell’energia nucleare sono soggetti ad una continua disinformazione e facciamo notare che, nella nostra analisi, non abbiamo considerato i costi dell’Uranio né quelli del personale e neppure la custodia delle scorie, assai onerosa, come avevamo già analizzato nel nostro “Vattelapesca forever” [11].
Programmare delle centrali per il 2020 è un’operazione molto azzardata, poiché il costo dell’Uranio ha goduto, dal 1990 in poi, di un importante calmiere del prezzo, dovuto allo smantellamento di moltissime testate belliche del dopoguerra (gli accordi SALT, ecc). Oggi, quella “manna” è terminata, ed il prezzo dell’Uranio – che influisce sulla produzione elettrica per un 5-10% – è in costante aumento.
Nel 2020 non sappiamo a quanto arriverà il prezzo del minerale, poiché dieci anni – in mercati così volatili – possono riservare di tutto: vento, sole ed acqua costeranno quanto costano oggi, cioè niente. Le tecnologie per captare le energie naturali, al contrario, man mano che s’affinano e migliorano abbassano il costo del KWh prodotto.
Da ultimo, ricordiamo che il costo d’impianto oggi stimato per il nucleare è di 2,2 milioni euro per MW, mentre quello dell’eolico è di un milione per le installazioni a terra e di 1,3 milioni per quelle in mare.
Perciò, la scelta insensata va oltre la querelle sulla sicurezza delle centrali: si costruiscono obsoleti macinini ad Uranio e non si guarda oltre. Siamo un paese vecchio, che teme le novità, la ricerca, la sperimentazione. Nuove verità che affossino antiche credenze mettono in dubbio false sicurezze: ma, le false certezze, sono destinate da sole a crollare.

Non siamo ingenui: conosciamo perfettamente la ragione che conduce l’Italia lontano dalle fonti rinnovabili e ad affidarsi, quando quasi tutti gli altri lo stanno abbandonando, al nucleare.
Qualsiasi produzione energetica che necessiti di un rifornimento costante di materiali produce flussi di denaro e, su quei flussi di denaro, la corruzione crea enormi ricchezze per i soliti noti.
Per quanto ci possa consolare il pensiero che corruzione e lobbismo siano radicati ovunque, non c’è terra dove la corruzione sia quasi “istituzionale”, come avviene in Italia. Condite “l’insalata nucleare” italiana con un po’ d’ignoranza e tanta voglia di soldi sicuri da distribuire ai famelici appetiti della politica e dei baroni dell’economia, ed ecco la risposta.

La questione si sposta dunque dal settore tecnico alla politica: ci rendiamo conto che, per molti, questa è la classica scoperta dell’acqua calda, ma riteniamo che ogni tanto sia necessario “rinfrescare” le idee. Soprattutto a coloro i quali, dopo le elezioni regionali, si vedranno “recapitare” una centrale nucleare sulla cocuzza: mentre ENEL ed ENI si fregheranno le mani contente – e con esse il Tesoro, che ha importanti partecipazioni azionarie in entrambe le holding – quei “fortunati” vedranno le loro abitazioni precipitare ad un terzo del loro valore. Contenti loro.

Cosa possiamo fare?
L’unica forza politica che ha lanciato una petizione contro la costruzione delle centrali nucleari è stata “Per il Bene Comune” [12], la quale ha consegnato le prime 50.000 firme alla Presidenza della Repubblica, senza che – fino ad ora – sia giunta risposta (se gli amici di PBC hanno novità in merito, saremmo felici se ci aggiornassero, nei commenti o direttamente all’autore).
PBC non ha passato sotto silenzio che il referendum del 1987 fu un pronunciamento contro l’energia nucleare nel nostro Paese: si potrà affermare che il meccanismo di qualsiasi referendum abrogativo prevede l’abolizione di una norma, come in quel caso furono abrogate le norme che prevedevano l’impianto delle centrali di Caorso e di Montalto di Castro (semplifico un po’ la questione).
In pratica, furono abrogate le norme per quelle centrali, ed oggi ci sono nuove norme (emesse dall’attuale governo) che, per essere parimenti abolite, necessiterebbero di un altro referendum. Questo è il “corso” giuridico.

Non ci si può, però, nascondere dietro ad un dito perché gli italiani – concediamo che la vicenda di Chernobyl abbia, all’epoca, modificato i consensi – si pronunciarono chiaramente contro il nucleare. Oggi, sono favorevoli?
Per niente.
Secondo una ricerca effettuata da “Il Sole 24 ore” [13] – che non è certo una fonte “comunista” – solo il 26,3% degli italiani è disposto ad accettare una centrale sul proprio territorio. E, tutto questo, nonostante il buon Mannehimer si sia tanto dato da fare per organizzare – lo scorso 12 Novembre 2009 – un bel convegno con un titolo che era tutto un programma: “Energia nucleare: la gestione del consenso [14].
Insomma, ‘sti italiani sono contrari, lo erano già nel 1987: come facciamo a farli cambiare opinione? Va da sé che se la sono “sparata” fra di loro e basta: di voci contrarie, manco l’ombra.
Il buon Mannheimer deve aver fatto un bel flop, tanto che il governo sarà costretto a militarizzare le aree delle centrali.

E l’opposizione?
L’UDC è favorevole, mentre Di Pietro ha recentemente dichiarato di voler promuovere due referendum abrogativi [15], contro il nucleare e la privatizzazione dell’acqua. Ma, Di Pietro, è la stessa persona che si alleò con il Presidente della Regione Molise Iorio (all’epoca, Forza Italia) contro il primo “campo” eolico italiano off-shore. La vicenda è comica, e la trattammo in “Venti nucleari” [16].
Farà seguire alle parole i fatti? Ah, saperlo…
Non è il caso di chiederlo al PD – che, paradossalmente, si dichiara contrario al nucleare e favorevole all’eolico [17] – per il problema che, loro, prima dovrebbero trovare il PD.

Centrale nucleare di Borgo Sabotino (Italia) [prima parte video].
La centrale nucleare di Latina è stata la prima in Italia a entrare in funzione nel 1963.
Dal 1986 non produce più energia. Nel 2000, la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari SpA),
ha presentato il progetto di smantellamento, ma purtroppo la centrale contiene ancora materiale radioattivo.


Perciò, l’unica via da seguire è appoggiare PBC nella sua petizione e chiedere, finalmente, a Pietruzzo cosa vuol fare da grande. Ha un partito, è in Parlamento, può lanciare la raccolta di firme: il 75% degli italiani non vuole quelle centrali.
Se ci sei, Pietruzzo, batti un colpo: altrimenti, taci.

Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com/
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2010/01/arriva-il-bengodi-nucleare.html
18.01.2010

Difesa-Servizi S.p.A è la società per azioni, la cui creazione è prevista dalla finanziaria, che gestirà alcuni settori dei servizi del Ministero della Difesa. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Vincenzo Camporini spiega in un'intervista le ragioni e le esigenze a cui tale società dovrebbe rispondere.
NOI DI SA DEFENZA SOTZIALI
PENSIAMO , CHE, DIFESA-SERVIZI SPA SIA IL CAVALLO DI TROIA PER LA MANIPOLAZIONE DELLE CENTRALI NUCLEARI (C.N.) NEGLI SPAZI MILITARI E PERCIO' POSSIBILI LUOGHI DI COSTRUZIONE DELLE C.N. E ALLONTANATE DALLA CONTESTAZIONE CIVILE PONENDOLE SOTTO IL CONTROLLO DELLA DIFESA ARMATA DELL'ESERCITO ITALIANO
a cura di Maurizio Torrealta Rai News 24
Ne discutono in studio l'onorevole Rosa Villecco Calipari, capogruppo del PD in Commissione Difesa, l'onorevole Guido Crosetto, sottosegretario alla Difesa e autore del progetto, Gianluca Di Feo, giornalista de "L'Espresso" che per primo si è occupato di questo tema e Francesco Vignarca, responsabile della Rete per il Disarmo e autore del libro "Il caro armato". In collegamento da Venezia interviente l'onorevole Filippo Ascierto, membro della Commissione Difesa per il PDL



Centrale nucleare di Borgo Sabotino (Italia) [prima parte video].
La centrale nucleare di Latina è stata la prima in Italia a entrare in funzione nel 1963.
Dal 1986 non produce più energia. Nel 2000, la SOGIN (Società Gestione Impianti Nucleari SpA),
ha presentato il progetto di smantellamento, ma purtroppo la centrale contiene ancora materiale radioattivo.



sabato 16 gennaio 2010

L'orologio dell'apocalisse

Marina Forti
ilmanifesto.it
L'umanità è un minuto più lontana dalla catastrofe atomica. Il Doomsday Clock, o «Orologio del Giudizio universale», ora segna sei minuti alla mezzanotte - fino a due giorni fa ne segnava cinque. Creato nel 1947 da un noto gruppo di scienziati nucleari, il Doomsday Clock è una sorta di barometro del rischio: quanto siamo vicini a una guerra nucleare. Che ora si è leggermente allontanato, ha dichiarato giovedì il Bullettin of Atomic Scientists annunciando la decisione di riportare indietro, seppure solo di un minuto, le lancette del virtuale orologio. «C'è qualche motivo di ottimismo nello stato degli affari mondiali», argomentano in un comunicato: «Per la prima volta da quando le prime bombe atomiche sono state sganciate nel 1945, i governanti degli stati possessori di armi nucleari stanno cooperando per ridurre i loro arsenali e controllare il materiale che serve a fabbricarle. E per la prima volta in assoluto, i paesi industrializzati e in via di sviluppo dichiarano la volontà di limitare le emissioni di gas di serra responsabili del cambiamento del clima che può rendere il nostro pianeta pressoché inabitabile. Questi passi senza precedenti sono segnali di una crescente volontà politica di affrontare le due più gravi minacce alla civiltà umana: il terrore delle armi atomiche e un cambiamento del clima galoppante».
Un raro segnale di fiducia, dunque, da parte di persone che pure guardano con iperrealismo al rischio nucleare. Il Bullettin of Atomic Scientists è stato fondato nel 1945 da un gruppo di scienziati della University of Chicago che avevano partecipato al Manhattan project - il programma di ricerca che ha creato le prime armi atomiche (che gli Stati Uniti hanno usato, appunto nel '45, sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki). Proprio perché avevano contribuito a creare «il mostro» erano terribilmente consapevoli del suo potenziale distruttivo, e hanno deciso di dedicarsi a diffondere la pubblica consapevolezza che usare l'arma atomica può solo significare catastrofe. Si allarmavano anche della segretezza intrinseca nella ricerca militare, e de
l pericolo che i governanti possano trascinare i loro paesi in una guerra atomica senza la consapevolezza né il consenso dei loro cittadini. Così, attraverso il Bollettino (www.thebullettin.org) cercano di «colmare il gap di conoscenza tra gli esperti del settore e il pubblico più generale». E questo continuano a fare, generazioni di scienziati e esperti di sicurezza di tutto il mondo.
Si noti che in 62 anni le lancette virtuali erano state ritoccate solo 18 volte. Nel 1945 stavano a 7 minuti dalla «mezzanotte» e aveva
no raggiunto i 2 minuti nel 1953, quando Usa e Urss hanno condotto test nucleari paralleli. Poi sono arrivati i primi trattati sul controllo degli armamenti... Neppure la fine della guerra fredda però ha portato al disarmo nucleare. E nel 2007 le lancvette erano tornate a 5 minuti: il Bullettin segnalava che nel mondo restano 27mila testate nucleari, di cui circa 2.000 pronte a essere lanciate nel giro di pochi minuti, e che una nuova minaccia si era sommata: il rischio di distruzione degli habitat umani a causa del cambiamento globale del clima.
Ora dunque, guardando sia alla non proliferazione atomica sia al clima, il Bullettin of Atomic Scientists vede segni di ottimismo. Riconoscono «la collaborazione tra Usa, Russia, Unione europea, India, Cina, Brasile e altri sulla sicurezza nucleare e la stabilizzazione del clima», dicono. Certo, abbiamo guadagnato solo un minuto, e l'orologio continua a ticchettare.

sabato 19 dicembre 2009

LA BANCA DEI REGOLAMENTI INTERNAZIONALI CI METTE IN GUARDIA CONTRO FUTURE CRISI

DI ANDREW GAVIN MARSHALL
Mondialisation.ca

La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza e l'indebitamento è la ripresa.

È importante ricordarci che le esclamazioni onnipresenti e ostinate di «una fine» di recessione, di «una soluzione alle crisi» e di «una ripresa» dell'economia, vengono proprio da quelle stesse persone e istituzioni che negli ultimi anni ci dissero che non c'era «nessuna ragione di preoccuparsi», che le «basi dell'economia continua(va)no a resistere», che non c'era «nessun rischio» di crisi economica.

Perchè continuiamo a credere a persone che si sono sempre sbagliate, nelle loro affermazioni e nelle loro scelte? A chi dovremmo credere e a chi rivolgerci per avere informazioni e analisi più giuste? Una fonte utile sarebbe forse quella che si trova all'epicentro della crisi, nel cuore del mondo oscuro delle banche centrali, il regolatore del sistema bancario mondiale e la «più prestigiosa istituzione finanziaria al mondo», che, fino ad oggi, ha previsto la crisi con esattezza: la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Ecco un buon punto di partenza.


La crisi economica è tutto fuorchè finita e le «soluzioni» apportate sono paragonabili a un cerotto su un braccio amputato. La BRI, la banca centrale delle banche centrali, ci ha messi in guardia rispetto a questo tipo di speranze fuori luogo e continua a farlo.

Cos'è la banca dei Regolamenti Internazionali?

La BRI è stata creata dal Comitato Young, creato nel 1929 per regolare il pagamento delle riparazioni tedesche, esposte brevemente nel Trattato di Versailles del 1919. Il comitato era diretto da Owen D.Young, presidente e direttore generale di General Electric, coautore del piano Dawes del 1924, membro del Cnsigilio d'Amministrazione della Fondazione Rockefeller e vice-presidente della Federal Reserve Bank di New York. Come principale delegato statunitense alla conferenza sulle riparazioni tedesche, era accompagnato da J.P.Morgan, Jr. [1]. Qui nasce il piano Young per il pagamento delle riparazioni tedesche.

Questo piano entra in vigore nel 1930, dopo il crac finanziario. Una parte del piano implicava la creazione di un'organizzazione internazionale di regolamento, fondata nel 1930 e conosciuta con il nome di Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI). Si diceva essere stata concepita per facilitare e coordinare i pagamenti delle riparazioni tedesche di Weimar ai poteri alleati. Tuttavia, la sua seconda funzione, più segreta e molto più importante, era di agire come «coordinatore delle operazioni delle banche centrali nel mondo». Definita come «una banca per le banche centrali», la BRI «è un'istituzione privata con degli azionisti, ma fa delle operazioni per le agenzie pubbliche. Queste operazioni sono strettamente confidenziali, quindi in generale il pubblico ignora la maggior parte delle operazioni della BRI» [2]

La BRI è stata fondata dalle «banche centrali di Belgio, Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi, Giappone e Regno Unito, e dalle tre principali banche commerciali degli Stati Uniti: J.P. Morgan & Company, First National Bank of New York e First National Bank of Chicago. Ogni banca centrale ha sottoscritto 16000 azioni e le tre banche statunitensi hanno anch'esse sottoscritto lo stesso numero di azioni». Nonostante ciò, «solo le banche centrali hanno diritto di voto [3]».

I membri delle banche centrali fanno incontri bimensili alla BRI, nei quali discutono di diverse questioni. È importante notare che la maggior parte «delle transazioni effettuate dalla BRI per conto delle banche centrali esigono la massima segretezza [4]», ecco perchè probabilmente la maggior parte delle persone non ne hanno mai sentito parlare. La BRI ppuò offrire alle banche centrali «una confidenzialità e una segretezza bancaria superiore a una banca quotata tripla A [5]».

La BRI è stata instaurata «per rimediare al declino di Londra come centro finanziario mondiale, offrendo un meccanismo per cui un mondo dotato di tre principali centri finanziari a Londra, New York e Parigi, potrebbe sempre funzionare come se ce ne fosse uno solo [6]». Come spiegava Carroll Quigley:

I poteri del capitalismoo finanziario avevano un altro obiettivo dalla notevole portata, niente meno che la creazione di un sistema mondiale di controllo finanziario nelle mani dei privati, capace di dominare il sistema politico di ogni paese e l'economia del mondo intero. Questo sistema doveva essere controllato in modo congiunto e con una forma feudale dalle banche centrali del mondo, con degli accordi segreti conclusi durante le frequenti conferenze e riunioni private. In cima al sistema, doveva trovarsi la Banca dei Regolamenti Internazioni a Basilea, in Svizzera, una banca privata, detenuta e controllata dalle banche centrali mondiali, anch'esse delle società private [7].


Non ci sono dubbi che la BRI sia la più importante, potente e segreta delle istituzioni finanziarie al mondo. I suoi avvertimenti non dovrebbero essere presi alla leggera, visto che, più che ogni altra istituzione al mondo, sarebbe a conoscenza di tali informazioni.

Nel settembre 2009, la BRI riportava che «il mercato mondiale dei prodotti derivati aveva fatto un salto enorme raggiungendo i 426 miliardi di dollari nel secondo trimestre, quando il gusto del rischio è riapparso, ma il sistema rimane instabile e soggetto alle crisi». Il rapporto trimestrale della BRI indica che i prodotti derivati hanno subito una crescita del 16% «soprattutto per via di una crescita dei contratti a termine (futures) e delle opzioni sui tassi d'interesse a tre mesi». L'economista capo della BRI ha avvertito che il mercato dei derivati pone «dei rischi sistemici maggiori» nel settore finanziario internazionale e che «il pericolo è che le autorità di regolamentazione non riescano, una volta ancora, a vedere che le grandi istituzioni hanno preso molti più rischi di quanto non potessero in condizioni di choc». L'economista ha inoltre aggiunto: «L'uso di derivati da parte degli hedge funds e di altri investimenti di questo tipo, può portare alla luce importanti rischi nascosti [8]».

All'indomani della pubblicazione del rapporto della BRI, il suo vecchio economista capo, William White, ha messo in guardia in questo modo: «Il mondo non ha affrontato i problemi che si trovano al centro del declino economico ed è possibile che lentamente entri di nuovo in recessione». Ha inoltre avvertito che «le azioni dei governi destinate ad aituare l'economia sul breve periodo, potrebbero in realtà gettare le basi delle crisi a venire». White avrebbe inoltre messo in guardia riguardo a una recessione a W: «Ci stiamo dirigendo verso una recessione a W? È quasi certo. Stiamo andando verso una L? Non ne sarei poi così sorpreso. La sola cosa che potrebbe sorprendermi davvero sarebbe una ripresa durevole che venga dalla posizione in cui ci troviamo».

Un articolo del Financial Times spiegava che i commenti di White dovevano essere presi in considerazione, perchè oltre ad aver diretto il dipartimento economico della BRI dal 1995 al 2008, aveva «più e più volte avvertito dei pericolosi squilibri congiunturali nel sistema finanziario mondiale, avvertimenti che risalgono al 2003, e – rompendo un gran tabù dell'epoca nelle cerchie delle banche centrali – ha osato contestare la continua perenne politica di denaro a buon mercato di Alan Greenspan, all'epoca presidente della FED».

Il Financial Times continua:

Ovunque, nel mondo, le banche hanno immesso migliaia di miliardi di dollari di nuovo denaro nel sistema finanziario negli ultimi due anni, come sforzo per prevenire la depressione. Nel frattempo, i governi sono andati verso estremi simili, collezionando grandi debiti per sostenere le industrie, dalle banche ai costruttori automobilistici.


White ha avvertito che «è possibile che queste misure stiano già riempiendo una bolla nei prezzi degli attivi, andando dalle azioni alle merci e [che] esiste un rischio minore che l'inflazione diventi incontrollabile a medio termine». In un discorso tenuto a Hong Kong, William White spiegava che «i problemi basilari dell'economia mondiale, come i disequilibri commerciali insostenibili tra Stati Uniti, Europa e Asia, non sono stati risolti» [9].

Il 20 settembre 2009, il Financial Times rivelava che durante una riunione del G20, la BRI «a capo dell'organismo che sorveglia la regolamentazione bancaria mondiale, ha dato un avvertimento importante, dicendo che il mondo non può permettersi di supporre in modo 'compiacente' che il settore finanziario si sia davvero ripreso» e che «Jaime Caruana, direttore generale della BRI e ex governatore della Banca Centrale di Spagna, ha affermato che la ripresa finanziaria non deve essere mal interpretata [10]».

Questi avvertimenti seguono quelli della BRI lanciati nell'estate 2009 riguardo alle speranze inopportune di fronte alle misure di stimolazione economica prese dai diversi governi nel mondo. Alla fine di giugno, la BRI ha avvertito che «le misure di stimolazione budgetarie non possono dare niente di più che un rilancio temporaneo della crescita, seguita da una lungo periodo di stagnazione».

Un articolo dell'Australian rivela: «Il solo organismo internazionale ad avere anticipato la crisi finanziaria [...] ha previsto che il più grande rischio era che gli investitori delle obbligazioni sul mercato mondiale (world bond investors) forzassero i governi ad abbandonare le misure di stimolazione economica e a ridurre invece radicalmente le spese pur alzando le imposte e i tassi di interesse, dopo che il rapporto mondiale della BRI ha, negli ultimi tre anni, messo in guardia dei pericoli di una nuova depressione». Inoltre, «il suo ultimo rapporto annuale ha avvertito che paesi come l'Australia si trovavano di fronte a una possibile forte richiesta di valuta, cosa che provocherebbe un innalzamento degli interessi».

La BRI ha inoltre avvisato che «una tregua temporanea potrebbe intralciare le autorità a prendere iniziative destinate a rimettere in piedi il sistema finanziario, se sono impopolari, e infine prolungare il periodo di crescita lenta».

Del resto, «nello stesso tempo, le garanzie dei governi e gli asset insurance hanno esposto i contribuenti a delle perdite potenziali enormi». Spiegando come le misure fiscali creino dei rischi significativi, la BRI continua: «La possibilità che i responsabili della fiscalità esauriscano la loro capacità di prendere in prestito prima di finire le costose riparazioni del sistema finanziario, costituisce un pericolo [...] È ben probabile che i piani di stimolazione aumentino i tassi di interesse reali e le previsioni di inflazione. Quest'ultima allora si intensificherebbe mentre il declino si attenuerebbe e [a BRI] ha espresso dei dubbi sul piano di salvataggio bancario adottato negli Stati Uniti [11]».

La BRI ha inoltre messo in guardia contro l'inflazione, affermando che «La grande e giustificabile paura è che la drammatica facilità della politica monetaria negli aggregati monetari e di credito cresca, prima che questa situazione venga rovesciata. Questo porterà a un'inflazione che nutre le prospettive di inflazione o potrebbe alimentare ancora un'altra bolla speculativa, gettando le fondamenta del prossimo ciclo finanziario di bolla-crollo [12]». Secondo il più recente rapporto sulla creazione della bolla dei derivati, è ormai evidente cosa è successo: è stata creata un'altra bolla speculativa. Il problema delle bolle, è che scoppiano.

Da parte sua, il Financial Times riportava che William White, ex economista capo della BRI aveva anche fatto sapere che «dopo due anni di sostegno dei governi al sistema finanziario, abbiamo ormai un gruppo di banche ancora più grandi e pericolose che mai; questo è stato sottolineato anche da Simon Johnson, ex economista capo dell'FMI, quando ha affermato che l'industria della finanza si è in effetti appropriata del governo degli Stati Uniti». Ha chiaramente detto: «La ripresa fallirà, a meno che non rompiamo l'oligarchia finanziaria che impedisce la realizzazione di una riforma essenziale [13]».

All'inizio del settembre 2009 i responsabili delle banche centrali si sono incontrati alla BRI e, secondo la stampa, «si son messi d'accordo su un insieme di misure mirate a rafforzare la normativa e la supervisione dell'industria bancaria, sulla scia della crisi finanziaria». Il capo della BCE avrebbe detto: «Gli accordi a cui siamo arrivati oggi tra i 27 grandi paesi del mondo sono essenziali, perchè stabiliscono nuovi standard per la regolamentazione e la supervisione bancaria a livello mondiale [14]».

Tra le misure stabilite, «i prestatari dovrebbero alzare la qualità del loro capitale incluedendo un maggior numero di titoli e allo stesso modo, le banche dovranno aumentare la quantità e la qualità degli attivi che hanno in riserva e frenare il leverage». Una delle decisioni chiave prese alla conferenza di Basilea (il cui nome viene dal Comitato di Basilea sul controllo bancario, ed è stato costituito dalla BRI), è che «le banche dovranno aumentare la qualità del loro cosiddetto Tier1 Capital, che misura la capacità di una banca di assorbire le perdite improvvise». Questo vuol dire che «la maggior parte di questo genere di riserve dovrebbero essere delle azioni ordinarie e dei benefici non ripartiti, e gli averi sarebbero completamente resi pubblici [15]».

A metà settembre, la BRI ha ammesso che «le banche centrali devono coordinare la supervisione mondiale delle camere di compensazione dei prodotti derivati per limitare il rischio sistemico». In altre parole «I responsabili della regolamentazione fanno pressioni affinchè una gran parte del commercio dei derivati fuori dalla borsa di 592 miliardi di dollari sia trasferito alle camere di compensazione, che agiscono a titolo di compratore per ogni venditore e di venditore per ogni compratore, riducendo così i rischi di credito per il sistema finanziario». Il rapporto pubblicato dalla BRI poneva la domanda seguente: «Le camere di compensazione dovrebbero avere accesso alle facilities di credito delle banche centrali e se sì, in quale momento? [16]»

Crisi in vista

Il mercato dei derivati rappresenta una grave minaccia per la stabilità dell'economia mondiale. Tuttavia, si tratta di una minaccia come tante altre, tutte legate e intrecciate, l'una scatenando l'altra. Il grosso elefante nella stanza è la grande bolla finanziaria creata dai piani di salvataggio e dalle misure di “rilancio” in tutto il mondo. Questo denaro è stato usato dalle grandi banche per consolidare l'economia, comprando banche meno grandi e assorbendo l'economia reale: l'industria dell'alto rendimento. Il denaro è stato anche usato nella speculazione, alimentando la bolla dei derivati e portando a un innalzamento delle borse, evento completamente illusorio e inventato. In realtà i piani di salvataggio hanno innalzato la bolla dei derivati a livelli rischiosi, e gonfiato i mercati della Borsa che son diventati così incontrollabili.

Nonostante ciò, un temibile rischio sorge dal costo dei piani di salvataggio e delle cosiddette misure di “stimolazione”. La crisi economica è una conseguenza dei bassi tassi di interesse e del denaro facile: si facevano dei prestiti ad alto rischio, il denaro era investito ovunque e in qualsiasi cosa, il mercato dell'abitazione si è gonfiato, così come quello dell'immobiliario commerciale, il commercio dei derivati si è impallato, raggiungendo le centinaia di miliardi di dollari all'anno, la speculazione si è fatta invadente e dominava il sistema finanziario mondiale. Gli hedge funds erano i facilitatori volontari del commercio dei derivati e le grandi banche erano i principali partecipanti e detentori.

Nello stesso tempo, i governi spendevano senza contare, in particolare negli Stati Uniti, pagando diversi miliardi di dollari per guerre e budgets di difesa e stampando il denaro dal nulla, cortesia del sistema mondiale di banche centrali. In compenso, tutto il denaro creato ha portato un debito. Nel 2007 il debito totale (debiti interni e di consumazione, e prestiti commerciali) degli Stati Uniti raggiungeva la somma sconcertante di 51 miliardi di dollari [17].

E come se il fardello del debito non fosse sufficiente, considerando che sarebbe stato impossibile rimborsarlo, negli ultimi due anni abbiamo assistito all'aumento del debito più rapido e costoso della storia, sotto forma di misure di rilancio e di piani di salvataggio in tutto il mondo. Nel luglio 2009, ci veniva detto che «ai contribuenti si sarebbero potuti chiedere 23,7 miliardi di dollari per sostenere l'economia e risollevare le società di finanziamento, ha osservato Neil Barofsky, ispettore generale speciale del Troubled Asset Relief Program [piano di salvataggio degli attivi a rischio] del Tesoro [18]».

Il piano Bilderberg in azione?

Nel maggio 2009 ho scritto un articolo sulla riunione del Bilderberg, riunione ultrasegreta delle principali §˜ites dell'Europa e del Nordamerica che si incontrano annualmente a porte chiuse. Il gruppo Bilderberg agisce come gruppo di riflessione internazionale informale e non pubblica nessuna informazione: i reportages sulle riunioni vengono dunque da fughe di notizie e le fonti non possono essere verificate. Tuttavia, le informazioni fornite dagli inseguitori del Bilderberg e giornalisti Daniel Estulin e Jim Tucker si sono rivelate sorprendentemente giuste in passato.

A maggio, le informazioni scappate dalle riunioni riguardavano senza sorpresa il principale soggetto di conversazione: la crisi economica. La domanda chiave era di sapere se ci si dovesse impegnare in «una depressione prolungata e dolorosa che condannasse il mondo a dei decenni di stagnazione, declino e povertà [...] o in una depressione più corta ma intensa che aprisse la strada a un nuovo ordine economico mondiale, che offrisse una minor sovranità, ma che fosse più efficiente».

È importante notare che uno dei punti importanti all'ordine del giorno era di «continuare a ingannare milioni di risparmiatori e investitori che credevano al clamore sulla pretesa ripresa economica. Stanno per affrontare perdite massicce e gravi difficoltà economiche nei mesi a venire».

Estulin ha parlato di un rapporto trapelato e che egli affermava aver ricevuto dopo la riunione, che mostrava i grandi disaccordi tra i partecipanti, dato che «I partigiani della linea dura sono favorevoli a un declino drammatico e a un'espressione corta e severa, ma altri pensano che le cose sono andate troppo lontane e che le conseguenze del cataclisma economico mondiale non possono essere calcolate con esatezza». Nonostante ciò, la visione comune era che la recessione sarebbe andata peggiorando e che la ripresa sarebbe stata «relativemente lente e lunga» e che si dovevano cercare questi termini nella stampa durante le settimane e i mesi a venire. In effetti, questi termini sono apparsi ad infinitum su tutti i media mondiali.

Il giornalista rivelava inoltre che «di fronte allo spettro della loro morte finanziaria, alcuni eminenti banchieri europei sono estremamente preoccupati e qualificavano questa acrobazia come 'insostenibile', e affermavano che i deficit di budget e commerciale avrebbero potuto generare il crollo del dollaro». Un membro di Bilderberg ha ammesso che «le banche stesse non sanno quando [si toccherà il fondo]». Tutti sembravano essere d'accordo sul fatto che «il nuovo capitale di cui le banche statunitensi han bisogno potrebbe essere considerevolmente più elevato di ciò che il governo statunitense ha suggerito al momento dei suoi recenti test di pressione». Inoltre, «qualcuno dell'FMI ha sottolineato che il suo studio personale sulle recessioni storiche suggerisce che gli Stati Uniti sono solo al terzo di questa. Di conseguenza, le economie che si aspettano di ristabilirsi grazie alla rinascita della domanda proveniente dagli Stati Uniti dovranno aspettare a lungo». Uno dei partecipanti ha dichiarato che «Le perdite in capitali propri nel 2008 erano peggiori di quelle del 1929 [e che], la prossima fase del declino economico sarà ugualmente peggiore che negli anni '30, soprattutto perchè gli Stati Uniti si portano addosso un debito eccessivo di circa 20 miliardi di dollari. L'idea di un boom [economico] sano sarà solo un miraggio finchè questo debito non sarà eliminato [19]».

La percezione generale di una ripresa dell'economia vorrebbe dire che il piano Bilderberg è in azione? Bene, per rispondere in modo chiaro a questa domanda, dobbiamo esaminare chi erano i principali partecipanti alla conferenza.

I dirigenti delle banche centrali

Come al solito, numerosi dirigenti delle banche centrali erano presenti. Tra questi, il governatore della Banca nazionale di Grecia, quello della Banca d'Italia, il presidente della Banca europea degli investimenti, l'ex presidente della Banca mondiale, James Wolfensohn, Nout Wellink presidente della Banca centrale dei Paesi Bassi e membro della direzione della BRI, Jean-Claude Trichet, presidente della Banca centrale europea, il governatore aggiunto della Banca nazionale del Belgio e un membro del Consiglio degli amministratori della Banca centrale d'Austria.

Ministri dell'Economia e media

Anche i Ministri dell'Economia e i funzionari di numerosi paesi hanno assistito alla riunione. La Finlandia, la Francia, la Gran Bretagna, l'Italia, la Grecia, il Portogallo e la Spagna avevano tutti un rappresentante dell'Economia. C'erano anche molti rappresentanti delle grandi imprese mediatiche mondiali, tra cui l'editore del Der Standard d’Austria; Il presidente e direttore generale della Washington Post Company; il redattore capo del The Economist; l'editore delegato del Die Zeit tedesco; il coredattore e cronista del Nouvel Observateur francese; e il corrispondente per gli affari e cronista economico del The Economist. Ecco alcune delle grandi pubblicazioni finanziarie mondiali presenti a questa riunione. Naturalmente, hanno una grande influenza sulla percezione che il pubblico ha dell'economia.

I banchieri

È importante sottolineare anche la presenza a quest'incontro di banchieri privati, dato che sono le grandi banche internazionali che detengono le azioni delle banche centrali mondiali, le quali detengono, a loro volta, le azioni della BRI. Tra le banche e le società di finanziamento rappresentate, c'erano la Deutsche Bank AG, ING, Lazard Freres & Co., Morgan Stanley International, Goldman Sachs e la Royal Bank of Scotland. Inoltre, è importante sottolineare la presenza di David Rockefeller [20], ex presidente e direttore generale della Chase Manhattan (oggi J.P. Morgan Chase), che potremmo definire come l'attuale «re del capitalismo».

L’amministrazione Obama

L'incontro del Bilderberg accoglieva inoltre numerosi rappresentanti dell'amministrazione Obama incaricati di risolvere la crisi economica, tra cui Timothy Geithner, segretario al Tesoro ed ex presidente della Federal Reserve Bank of New York; Lawrence Summers, direttore del Consiglio economico nazionale della Casa Bianca, ex segretario al Tesoro del governo Clinton, ex presidente dell'Università di Harvard ed ex economista capo della Banca mondiale; Paul Volcker, ex governatore della FED e capo del Comitato consultivo di rilancio economico del presidente Obama e Robert Zoellick, ex presidente di Goldman Sachs e attuale presidente della Banca Mondiale [21].

Senza che questo abbia conferme, si parla della presenza del presidente della Fed Ben Bernanke. Tuttavia, se possiamo fidarci della storia e delle precedenti riunioni del Bilderberg, il presidente della Fed e quello della Federal Reserve Bank of New York sono sempre presenti. Sarebbe quindi una sorpresa che non fossero presenti all'incontro del 2009. Ho contattato la Fed di New York per chiedere se il presidente aveva assistito alle riunioni di organismi o gruppi qualsiasi in Grecia durante l'incontro dei membri del Bilderberg e mi hanno risposto di chiedere alle organizzazioni una lista dei partecipanti. Se non ne hanno confermato la presenza, non l'hanno neanche negata.

È evidente che tutti questi giocatori chiave possono esrcitare abbastanza influenza per modificare l'opinione pubblica e la percezione della crisi economica. Sono inoltre gli stessi che hanno più da guadagnarci. Nonostante ciò, poco importa l'immagine che creano, questa resta ciò che è: un'immagine. L'illusione si romperà molto presto e tutti si renderanno conto che la crisi che abbiamo vissuto fino ad ora non è altro che il capitolo introduttivo della crisi economica tale come sarà scritta nei libri di storia.

Conclusione

Gli avvertimenti della BRI e del suo vecchio economista capo, William White, non devono essere presi alla leggera. Le precedenti messe in guardia della BRI e di William White sono passate in sordina e col tempo si sono rivelate esatte. Non lasciate che la speranza di «ripresa economica» veicolata dal media metta da parte la «realtà economica». Anche se può farci deprimere riconoscerlo, è molto meglio conoscere la terra che calpestiamo, anche se costellata di pericoli, invece di ignorarla e correre imprudentemente su un campo minato. L'ignoranza non rende felici, ma è piuttosto una catastrofe a scoppio ritardato.

Un medico deve prima identificare e diagnosticare correttamente un problema prima di poter dare un qualsiasi rimedio come soluzione. Se la diagnosi non è corretta, il rimedio non avrà effetto, potrebbe anzi aggravare la situazione. L'economia mondiale è colpita da un grave cancro: alcuni l'hanno diagnosticato correttamente, eppure il rimedio che le è stato dato serviva a guarire un raffreddore. Il tumore economico è stato identificato. La domanda è: l'accettiamo e cerchiamo di eliminarlo o continuiamo a pensare che il rimedio per la tosse lo guarirà? Tra le due posizioni, quale offre le migliori possibilità di sopravvivenza? Ora cercate di accettare il motto «stupido felice».

Come diceva Gandhi, «Non vi è altro Dio che la verità»

Per una visione d'insieme delle crisi finanziarie a venire, vedere: "Entering the Greatest Depression in History: More Bubbles Waiting to Burst" Global Research, 7 agosto 2009.

Note

[1] Time, HEROES: Man-of-the-Year. Time Magazine: Jan 6, 1930: http://www.time.com/time/magazine/article/0,9171,738364-1,00.html

[2] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 2

[3] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 6

[4] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 148

[5] James Calvin Baker, The Bank for International Settlements: evolution and evaluation. Greenwood Publishing Group, 2002: page 149

[6] Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), 324-325

[7] Carroll Quigley, Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time (New York: Macmillan Company, 1966), 324

[8] Ambrose Evans-Pritchard, Derivatives still pose huge risk, says BIS. The Telegraph: September 13, 2009: http://www.telegraph.co.uk/finance/newsbysector/banksandfinance/6184496/Derivatives-still-pose-huge-risk-says-BIS.html

[9] Robert Cookson and Sundeep Tucker, Economist warns of double-dip recession. The Financial Times: September 14, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/e6dd31f0-a133-11de-a88d-00144feabdc0.html

[10] Patrick Jenkins, BIS head worried by complacency. The Financial Times: September 20, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/a7a04972-a60c-11de-8c92-00144feabdc0.html

[11] David Uren. Bank for International Settlements warning over stimulus benefits. The Australian: June 30, 2009:

http://www.theaustralian.news.com.au/story/0,,25710566-601,00.html

[12] Simone Meier, BIS Sees Risk Central Banks Will Raise Interest Rates Too Late. Bloomberg: June 29, 2009:

http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601068&sid=aOnSy9jXFKaY

[13] Robert Cookson and Victor Mallet, Societal soul-searching casts shadow over big banks. The Financial Times: September 18, 2009: http://www.ft.com/cms/s/0/7721033c-a3ea-11de-9fed-00144feabdc0.html

[14] AFP, Top central banks agree to tougher bank regulation: BIS. AFP: September 6, 2009: http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5h8G0ShkY-AdH3TNzKJEetGuScPiQ

[15] Simon Kennedy, Basel Group Agrees on Bank Standards to Avoid Repeat of Crisis. Bloomberg: September 7, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=aETt8NZiLP38

[16] Abigail Moses, Central Banks Must Agree Global Clearing Supervision, BIS Says. Bloomberg: September 14, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=a5C6ARW_tSW0

[17] FIABIC, US home prices the most vital indicator for turnaround. FIABIC Asia Pacific: January 19, 2009: http://www.fiabci-asiapacific.com/index.php?option=com_content&task=view&id=133&Itemid=41

Alexander Green, The National Debt: The Biggest Threat to Your Financial Future. Investment U: August 25, 2008: http://www.investmentu.com/IUEL/2008/August/the-national-debt.htm l

John Bellamy Foster and Fred Magdoff, Financial Implosion and Stagnation. Global Research: May 20, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=13692

[18] Dawn Kopecki and Catherine Dodge, U.S. Rescue May Reach $23.7 Trillion, Barofsky Says (Update3). Bloomberg: July 20, 2009: http://www.bloomberg.com/apps/news?pid=20601087&sid=aY0tX8UysIaM

[19] Andrew Gavin Marshall, The Bilderberg Plan for 2009: Remaking the Global Political Economy. Global Research: May 26, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?aid=13738&context=va

[20] Maja Banck-Polderman, Official List of Participants for the 2009 Bilderberg Meeting. Public Intelligence: July 26, 2009: http://www.publicintelligence.net/official-list-of-participants-for-the-2009-bilderberg-meeting/

[21] Andrew Gavin Marshall, The Bilderberg Plan for 2009: Remaking the Global Political Economy. Global Research: May 26, 2009: http://www.globalresearch.ca/index.php?aid=13738&context=va

Titolo originale: "La reprise ¦—onomique est une illusion"

Fonte: http://www.mondialisation.ca
Traduzione a cura di MARINA GERENZANI

martedì 1 dicembre 2009

MANIFESTAZIONE ANTINUKE!! NO NUKE! UNA RISATA SARDONICA VI SEPPELLIRA'



http://socialmail.tiscali.it/messages_s/75/159/2494_b7301042a33f5e6f67836bd2b429d6/attachments/NO%20NUKE.mp3

NON PERMETTIAMO DI RENDERE INVIVIBILE LA TERRA DEI NOSTRI FIGLI CHE DEVONO ANCORA NASCERE!!


8 DICEMBRE 2009 ORE 17,00 CAGLIARI PIAZZA DEL CARMINE MANIFESTAZIONE ANTINUCLEARE CON INTERVENTI DEI SOSTENITORI DI UNA REALTA' DI PRODUZIONE ENERGETICA NON INVASIVA NEL RISPETTO DELL'AMBIENTE E DELLA DIMENSIONE UMANA

RELAZIONE DEL PROF. L. BURDERI, DIBATTITO CON INTERVENTI DEGLI ADERENTI ALL’EVENTO, CENA SARDA...


MUSICA: ROSSELLA FAA, MARIO SANDRO MOSSA QUINTET, REAGGE MUFFIN, EROTIC MONKEY, SIMONA DEIDDA SOUND, DR.BOOST, ISOLA SOUND, E MOLTI ALTRI ANCORA, EPPOI ANCORA GIOIA PACE E MOLTA SIMPATIA!!!!!!!


COMITATO SARDO ANTINUCLEARE






Nucleare, legare le multinazionali ai consorzi per la costruzione delle centrali.

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È il nucleare la soluzione per Alcoa

La proposta dell'Enel: le imprese energivore nei consorzi delle centrali

Giuseppe Centore - La Nuova Sardegna 1 Dicembre 2009

Fonte: Rassegna Stampa Provincia di Nuoro

PORTOVESME. Passa anche dal nucleare la soluzione della vertenza Alcoa. I silenzi del governo, le non-risposte alla piazza e al Parlamento, non erano legate all'assenza di idee su come uscire dal rebus delle tariffe, ma alla necessità di prendere tempo per definire i dettagli di una strategia.
Una strategia che non a caso è stata esplicitata a Sondrio dal presidente di Enel il giorno dopo la manifestazione di Roma. Entro l'anno verranno sistemati altri tasselli e ci saranno anche gli annunci ufficiali. La strategia del governo si regge su tre pilastri: il ruolo dei grandi produttori (Enel), l'avvio in esercizio delle infrastrutture di trasporto tra Sardegna e Penisola (il Sapei), le agevolazioni per Alcoa. Il ruolo di Enel passa per il nucleare. Non c'è allo stato attuale alcun collegamento tra questa opzione e la realizzazione di centrali nucleari nell'isola.
Il progetto che ha in mente il governo, presente anche nella legge 99 di quest'anno, ipotizza l'incontro tra produttori e consumatori speciali di energia (Alcoa in pratica ha bisogno di una media centrale elettrica per sé) nei consorzi per la costruzione di queste centrali a prescindere dalla loro collocazione.
«Crediamo che il nucleare debba vedere un ampio coinvolgimento dell'industria elettrica e delle grandi imprese energivore italiane». Con queste parole Fulvio Conti, ha indirettamente risposto al pre-accordo tra governo e Alcoa del giorno prima intervenendo in una conferenza sul Sistema energetico venerdì a Sondrio. Conti, ha spiegato che l'Enel sta pensando «a modelli societari o consortili per ciascuna unità (cioè ciascuna centrale, ndr) aperti ai grandi consumatori di energia come industrie o consorzi di imprese od altri operatori del settore energetico, che potranno così beneficiare di elettricità a prezzi vantaggiosi per tutta la durata in esercizio della centrale, in proporzione alla loro partecipazione. Quello che chiedo é che in questi consorzi sia sempre Enel a mantenere la posizione di leadership».

Il secondo pilastro, su cui si regge il primo, riguarda le infrastrutture. E' già attiva operativa la prima tranche da 500 megawatt del cavo sottomarino, il cosiddetto"Sapei" che collegherà la Sardegna alla penisola. I tecnici di Terna contano di portarlo in esercizio a pieno regime per il prossimo marzo, e di attivare la seconda tranche del cavo a marzo 2011. L'entrata in funzione del cavo doveva essere accompagnata da una grande cerimonia, prevista per il 19 novembre. I pre-inviti per quell'evento, con la presenza del Presidente Berlusconi, fautore dell'opera, erano già partiti, ma poi c'era stato un imprevisto dietro-front. Non è escluso che lo slittamento sia legato alla vertenza Alcoa. L'attivazione del Sapei, anche solo con la prima tranche, crea una forte discontinuità con il passato. La Sardegna non è più isolata sul fronte energetico, né in entrata né in uscita. La disposizione del 2000 (governo Prodi, ministro dell'industria Enrico Letta) che elevò la quota di riserva (quella immettibile in rete in qualunque momento in caso di black-out) all'80 per cento della potenza prodotta in Sardegna, non ha più ragione d'essere. La riserva anche nell'isola scenderà più o meno al 20, e questo significa che il chilowattora prodotto in Sardegna costerà di meno perché dovrà confrontarsi con l'energia prodotta nel resto del paese, ora col Sapei in grado di attraversare il mare nelle due direzioni.

Terzo pilastro della strategia del governo è il pre-accordo; l'interconnessione con l'estero, l'interrompibilità delle forniture e la riduzione della tariffa per il"trasporto" dell'energia dal luogo di produzione a Portovesme diventano alla luce degli altri due punti, complementari e di minore importanza. Adesso si capisce il ritardo e l'assenza di notizie sulle comunicazioni formali tra le parti e con l'Europa: il piano del governo stava prendendo corpo, e solo con la pre-intesa poteva essere parzialmente illustrato. Un altro risultato raggiungibile nella strategia del governo (analogamente a quando accaduto con l'altra azienda energivora del Sulcis-iglesiente, la Portovesme srl) è quello di "legare" virtuosamente le multinazionali al territorio. Nel caso della Portovesme il Contratto di programma (quando arriverà) e l'eolico impediscono di ipotizzare abbandoni anche a medio termine. Nel caso di Alcoa la partecipazione a un consorzio per la costruzione di una centrale nucleare non consente improvvisi disimpegni. Anche questo un risultato non da poco.

mercoledì 18 novembre 2009

Padroni dell'acqua

INVITIAMO TUTTI/E GLI AMICI/HE A FIRMARE LA PETIZIONE CONTRO LA PRIVATIZZAZIONE DELL'ACQUA
http://www.petizionionline.it/petizione/campagna-nazionale-salva-lacqua-il-governo-privatizza-l-acqua-/133
SA DEFENZA SOTZIALI

Andrea Palladino

ilmanifesto.it
Un istituto fondato da un ex maoista e chiamato: Scuola di guerra economica. Un dossier rivolto a governi e multinazionali che spiega le strategie per vincere la battaglia per il controllo privato dell'oro blu. Al primo punto: come neutralizzare i movimenti. Cosa si nasconde dietro la privatizzazione
«Il mio nome è Harbulot, Christian Harbulot». Forse la prossima saga firmata John Le Carré inizierà così. E invece dei terribili traffici della Spectre parlerà d'acqua e d'ambiente, mostrando i terribili nemici del progresso: i comuni e i cittadini. Sembra uno scherzo, ma è una questione molto seria.

Tutto ha inizio nel 1997, quando l'ex maoista francese Christian Harbulot incontra un generale reduce della guerra d'Algeria, Jean Pichot-Duclos, membro del Consiglio internazionale della difesa. Si guardano, si piacciono ed hanno la brillante idea di creare una scuola speciale, unica nel suo genere: la Ecole de guerre économique. I campi di battaglia del futuro saranno i mercati, annunciano, e sarà necessario usare mezzi non tradizionali. «Dobbiamo trasferire verso l'impresa la cultura sovversiva», spiegava nel 1998 in una intervista al Corriere della sera l'ex militante della Gauche proletarienne Christian Harbulot.
Undici anni dopo in Europa si parla del futuro dei beni comuni, con l'acqua prima della lista. Da qualche anno in Francia decine di comuni stanno cacciando le potentissime multinazionali, la Veolia e la Suez, ritornando alla gestione pubblica. Scatta l'allarme nei consigli di amministrazione, la Veolia Environnement Europe Service - lobby attiva a Bruxelles - aumenta il capitale sociale da 100 mila a 2,44 miliardi di euro. E il 18 giugno scorso la école de guerre économique pubblica un rapporto dettagliato, diretto da Christian Harbulot, con le istruzioni per le truppe. L'era della guerra per l'acqua è iniziata.
Il titolo rivela il destinatario: Environnement concurrentiel de Veolia. Ovvero la prima multinazionale multiutility del mondo, guidata da un fedele amico di Sarkozy, Henri Proglio, che in Italia controlla buona parte del mercato idrico a Latina, in Calabria e in Sicilia. L'analisi partorita dalla scuola di guerra economica francese parte dall'individuazione di chi ostacola l'espansione del colosso francese, che ha tra gli azionisti anche lo stato. C'è un pericolo che viene dal mercato asiatico, dove i cinesi stanno per ora mettendo da parte il know-how tecnologico europeo, per poi prepararsi a conquistare il mondo. Ci sono tanti concorrenti - tra le quali Acea, salita al dodicesimo posto nella classifica mondiale delle imprese dell'acqua - emersi negli ultimi dieci anni. Ma soprattutto ci sono i comuni e i movimenti, i veri nemici di chi fa affari vendendo l'acqua.
Pagare prima di tutto
«Pagare l'acqua garantisce lo sviluppo sostenibile», spiega a pagina 49 il rapporto. È una questione di «campagna pedagogica», è necessario far capire a tutti i cittadini che più pagano più l'ambiente «verrà conservato». Per il rapporto la questione prezzo è ovviamente strategica. Anche perché - come mostrano chiaramente i dati - dove l'acqua è privatizzata le tariffe aumentano. In Francia, ad esempio, nella graduatoria comparativa dei prezzi dei servizi idrici, le città con le tariffe più alte hanno tutte una gestione privata: Toulon, Nizza, Lione, Marsiglia, solo per citare le più conosciute. In fondo alla lista c'è invece Grenoble, dove il servizio idrico venne ripubblicizzato alcuni anni fa.
L'acqua del sindaco? Pessima!
Da qualche anno nella patria di Veolia e Suez tanti comuni stanno cacciando i gestori privati. L'esempio più clamoroso è Parigi, dove le due multinazionali si spartiscono i due lati della Senna. Dal primo gennaio del 2010 si cambia, il sindaco di Parigi riprenderà in mano la gestione dell'acqua. I generali della nuova guerra economica hanno pronta la controffensiva e la suggeriscono a Veolia: «Va provocata una repulsione» verso questa ipotesi. Le multinazionali devono lanciare subito una campagna di guerra dell'informazione mostrando «da una parte il mercato francese privatizzato con un consumatore che beve acqua pura direttamente dal rubinetto, e dall'altra un mercato municipalizzato, con un consumatore che beve acqua di dubbia qualità».
Bloccare le Ong
Ma l'incubo peggiore per le multinazionali - suggerisce il rapporto del think tank francese - sono i movimenti e le Ong. Due in particolare: Public Citizen negli Usa e France Liberté in Francia. I movimenti «interferiscono nell'ambiente concorrenziale di Veolia», spiegano nel rapporto. In questo contesto «la battaglia dell'immagine è importante» e sarà necessario esercitare un forte potere di lobby, utilizzando «la prossimità di mister Proglio - presidente di Veolia, ndr - con il presidente Sarkozy». E cosa dovrebbe chiedere Mr Proglio al presidente? «L'industria dell'acqua deve entrare nella lista delle industrie strategiche, protette dal governo francese, come quella della difesa». Insomma i rubinetti dei cittadini dovranno essere trattati come armi da vendere e da difendere dall'attenzione dei movimenti.
La battaglia, però, deve andare anche oltre la Francia. In Europa tutto si gioca sulla regolamentazione, spiega il rapporto, ed è qui che Veolia dovrà agire. Come potente lobby, per cambiare la politica europea, per fermare i sindaci e i movimenti. Una vera lotta di lunga durata, direbbe l'ex maoista Christian Harbulot.



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