lunedì 22 luglio 2013

DE LAVANDERAS EL CAUDAL


DE LAVANDERAS EL CAUDAL

Con su ropa en la cabeza
juntitas se van al río
racimo de lavanderas
damas de bello trapío.

Tan hermoso mocerío
lo digo con circunstancia
mujeres en abundancia
sueltan la lengua con brío.

En amorosas verbenas
tallando y tallando duro
trabajan sin desfiguro
lavando ropas ajenas.

Y enjabonando sus penas
se pasan así la vida
con la esperanza debida
las penas con pan son buenas.

Pajaritas ebrias de agua
con su bella lozanía
procuran con alegría
recogerse sus enaguas.

Un hombre que va de paso
las mira con estupor
ellas sedientas de amor
y él de amores tan escaso.

Sus caderas voluptuosas
sus piernas son un encanto
él las mira sin quebranto
¡ay doncellas tan hermosas!

Y el hombre que va de paso
las mira con embeleso
anhelando sólo un beso
mas ninguna le hace caso.

Ellas están habituadas
a hombres de esa calaña
del pasado y del mañana
no se sienten extenuadas.

Lavanderas de mi tierra
apostadas en el río
son un bello desafío
en el llano y en la sierra.

Y al final de la jornada
cada quien se va a su chante
así el caballero andante
y las damas en parvada.

Racimo de lavanderas
mañana será otro día
contando el chisme del día
enjuagando nuevas penas.

Y a pesar de tanto apuro
aunque el hambre las impulse
las reinas del agua dulce
¡son felices se los juro!
***
(La foto fue extraída de internet, no tenía autor, pero sí decía "Mentidero", seguro ha de ser el Mentidero, San Rafael, Veracruz).

domenica 21 luglio 2013

IRAP – STATO CONTRO REGIONE STATO PATRIGNO – NO STATO OPPRESSORE IL SOVRANISMO E’ UN NIKNAME DELL’AUTONOMISMO

Arriceus e pubricaus su comunicau de SNI
nci parit chi siat una arrespusta a su atobiu dde sabudu a Losa de su Partito dei Sardi de Franciscu Sedda e Paolo Maninchedda, d'iat giai nau calincuna cosa fintzas Doddore Meloni de MERIS ariseru meria fiat narendi ca est sonada sa campana a motu,  poita su atobiu de Losa no at nau nudh'e nou e no funt nudha poita no rapresentant nisciunus in SARDINYA...
 SA DEBATA EST OBERTA
sa defenza

BUSTIANU CUMPOSTU COORDINADORE NATZ DE SNI


IRAP – STATO CONTRO REGIONE 
STATO PATRIGNO – NO STATO OPPRESSORE
IL SOVRANISMO E’ UN NIKNAME DELL’AUTONOMISMO

Le processioni a Roma dei parrocchiani di Cappellaci, come già quelle dei parrocchiani sindacali, hanno sbagliato santuario, non solo non si è ottenuto il miracolo della Zona Franca Integrale ma  a stretto giro di oratorio i sardi hanno ricevuto la decisa bastonata didattica dell’IRAP per non avere ancora appreso bene il fondamentale concetto sulla differenza che intercorre tra sovranità e sudditanza.  Lo stato, italiano, non concede alla colonia speciale, Sardegna, ciò che è valido nel suo territorio normale. Le regioni ordinarie, grazie alla  legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, all’articolo 7 possono variare  l’aliquota IRAP nei limiti dei massimi di legge ed esercitare sovranità sui propri tributi e la Sardegna, che vanta poteri legislativi costituzionali, non può perché lo statuto, come se fosse un trattato di resa, all’art 10 limita questa possibilità solo per le imprese di nuova istituzione.

La vera risorsa dei sardi sono i sardi stessi,  che invece di snocciolare  rosari romani devono DECIDERE DI DECIDERE, istituire  applicare unilateralmente e immediatamente l’art. 9 dello statuto e conseguire la sovranità fiscale istituendo s’Agentzia Sarda de sas Intradas, ribaltare i rapporti del dare e del chiedere con lo stato e rendere il sistema economico sardo RILEVANTE ai fini delle leggi europee in matteria. ci sono altre possibilità. 

La ZONA FRANCA INTEGRALE E ARTICOLATA è alla nostra portata, senza  aiuti di stato possiamo, DECIDENDO, avere una fiscalità di vantaggio a misura di Sardegna e fare in modo che sia moltiplicativa di PIL rendendo più chiuso il sistema economico sardo intervenendo con decisione sull’agroalimentare, sul turismo e sui trasporti.

Solo sconfitte e umiliazioni se si rimane all’interno della CULTURA POLITICA ITALIANA, e non diamo la possibilità alla CULTURA POLITICA SARDA di emettere propri impulsi di autodecisione, per uscire dalla sudditanza del dare risposte invece che attenderle. 
 autodecidere chiameranno i sardi a schierarsi in diverse trincee e li costringeranno a beccarsi tra loro come i polli di Renzo per non capire di essere destinati tutti alla pentola del disastro italiano.

 Nessuna novità verrà dal Sovranismo è un rispondere mediato del “sardismo”,  privo di cultura politica autonoma, agli impulsi emessi dal sistema “italianista”

Il sovranismo è un nickname dell’autonomismo che come in una realtà virtuale si muove nella “rete” politica modernizzando ed informatizzando l’inganno per continuare la sua opera di neutralizzazione del nazionalismo sardo e arginarne  l’attesa di SOVRANITA’ VERA, di INDIPENDENZA.

BITZI  20/07/2013  anno 152° Dominazione Italiana    IL COORDINATORE NAZIONALE


                                  Bustianu Cumpostu

sabato 20 luglio 2013

Dopo l'indebitamento che ha favorito le elite private ora pensano alla svendita delle Società pubbliche

Il rapporto Pil Indebitamento creato dai politicanti italioti di destra e sinistra negli ultimi 15 anni...


Annuncio di Saccomanni che poi ci ripensa..... 

Dopo l'indebitamento che ha favorito le elite private ora pensano alla svendita delle Società pubbliche 


Vàturu Erriu Onnis Sayli 

Debito: Saccomanni, dice: mai ipotizzato vendità società pubbliche...
Ma è veramente come dice il ministro italiota? Oppure dietro questa  rinuncia vi si intravede una evidente retromarcia da cui si desume un errore nei tempi  e modi della messa in svendita del patrimonio pubblico italiota; poiché è sentore che coglie impreparati i partiti sostenitori del neo-liberismo governativo sostenuto da PD PdL guidati da Letta, figlioccio della TRILATERAL  di BILDEBERG e delle  elite private,  i quali partiti non  consigliati per bene e a dovere sulla cosa da Scelta (in)Civica, il deposto bildeberghiano-merkeliano Monti,  come far inghiottire quest'ulteriore furto ai danni del popolo italiota.
Le imprese a rischio privatizzazione e svendita totale sono aziende sane che rendono alla stato svariati miliardi di euro, ma come si sa non si può lasciare al pubblico una così ghiotta fetta di mercato senza che i soliti noti poteri privati non vogliano mangiarsela in un sol boccone, appoggiati da soliti partiti finti democratici e asserviti completamente assieme ai sindacati collusi  al sistema dei capitali privati.
Il portafoglio dello stato italiano consiste in partecipazioni cospicue in aziende prima totalmente pubbliche , oggi partecipate : Enel spa al 31,24%; ENI spa 30,1%; Finmeccanica 30,2%; Cassa Depositi e Prestiti 80.1%; Expo 2015 spa 40%; RAI Radio Televione Italiana spa 99,56%; e le ancora pubbliche al 100% ANAS spa, Poste Italiane spa, Ferrovie dello Stato spa, ENAV spa, Coni Servizi spa, GSEspa, Ist. Poligrafico e Zecca, Rete Autostrade Mediterranee, SOGEI spa, Sogin spa, Consip spa;
Il valore economico di  svendita di queste e molte altre aziende del comparto pubblico italiota si può paragonare alla  sconfitta subita in guerra., per quantità di valore economico pari o oltre alla disfatta di Napoleone a Waterloo




 Rimandiamo anche alla lettura del report di BankItalia 2012 
"Dati di confronto internazionale che forniscano un quadro complessivo e affidabile sulla diffusione e sul peso delle imprese pubbliche nelle varie economie sono difficili da ottenere. Tra i principali ostacoli che si incontrano nella comparazione figurano l’individuazione del perimetro di attività d’impresa, la reperibilità di dati relativi alla proprietà dei governi locali, la distinzione tra investimenti finanziari e partecipazioni stabili da parte dell’operatore pubblico. Secondo un recente studio dell’OCSE, l’Italia figura tra i paesi in cui la dimensione del settore è maggiore (OECD, 2011a). Nel 2009 il valore complessivo delle imprese controllate dal governo centrale (imprese quotate e non quotate in cui lo Stato detiene la maggioranza del capitale) era pari per l’Italia a 105 miliardi di dollari; solo Corea, Francia e Norvegia presentavano valori più elevati (rispettivamente 178, 158, 131 miliardi di dollari). Considerando le società quotate in cui lo Stato detiene almeno il 10 per cento, l’Italia risulta il secondo paese dietro la Francia per valore delle partecipazioni. Va inoltre considerato che tali dati non tengono conto del valore effettivo delle partecipazioni che, pur essendo minoritarie, consentono l’esercizio del controllo." (bancaditalia)


Cosa pensano altri giornali... 
 "Specifiche ipotesi di vendita riportate da organi di informazione non sono state formulate dal ministro". Lo precisa il Tesoro in merito alle parole del ministro Saccomanni, che ha parlato "di strategia di riduzione del debito, formulando diverse ipotesi di valorizzazione del patrimonio pubblico, senza mai citare specifiche società".Non e' escluso che il Tesoro decida di cedere quote di societa' pubbliche - incluse Eni, Enel e Finmeccanica per ridurre il debito. E' quanto ha affermato il ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni in un'intervista a Bloomberg Tv a Mosca, secondo quanto riporta l'agenzia Bloomberg.C'e anche l'ipotesi, ha spiegato Saccomanni nell'intervista televisiva a margine dei lavori del G20 di Mosca, di usare gli asset di queste aziende come collaterali. ''Stiamo considerando questo - ha detto il ministro in un'intervista a Bloomberg - queste compagnie sono profittevoli e danno dividendi al Tesoro, cosi' dobbiamo considerare anche la possibilita' di usarle come collaterali per la riduzione del debito''. ''Ci sono un po' di idee che dobbiamo prendere in considerazione'', ha proseguito Saccomanni. In particolare il ministro ha detto: ''spero che prima della fine dell'anno possiamo avere chiara quale sia la nostra visione per una strategia compressiva per uno schema che consenta l'accelerazione della riduzione del debito''."Il governo intende valorizzare i propri asset e quindi non esclude in futuro un piano di valorizzazioni che include le partecipazioni delle quale è in possesso". Lo precisa alla stampa italiana il portavoce del ministro dell'Economia, Roberto Basso a margine del G20."Ipotesi questa che andrebbe valutata con molta cautela perché si tratta di società quotate, profittevoli, che forniscono dividendi", ha proseguito il portavoce del Ministero del Tesoro, precisando alle agenzie italiane il senso dell'intervista concessa dal ministro Saccomanni a Bloomberg Tv, nella quale non si escludeva l'ipotesi di cessione di quote delle partecipazioni del Tesoro in Eni, Enel e Finmeccanica. "Tra le idee da valutare in futuro anche l'ipotesi di utilizzare le partecipazioni come collaterale per operazioni finanziarie", ha aggiunto. "Tra le ipotesi note anche la cessione di immobili del Demanio", ha proseguito. L'obiettivo è "contribuire alla riduzione dello stock del debito", ha concluso.Debiti p.a:Saccomanni,già a disposizione oltre 10 mld  - Ammonta già ad oltre 10 miliardi di euro la somma messa a disposizione per pagare i debiti accumulati dalla pubblica amministrazione. Saccomanni ha precisato che l'intera somma, pari a 40 mld da erogare entro il primo semestre '14, vale il 2,5% di pil.Ripresa tra II e III trimestre - "La ripresa? Ci sono indicatori che si materializzerà tra il secondo e il terzo trimestre di quest'anno": è la previsione del ministro dell'economia. "Anche Bankitalia prevede che il quarto trimestre sarà positivo", ha aggiunto.Si tratta di segnali deboli che convivono con la coda della crisi, ha lasciato intendere il ministro: "é tipico delle fasi di inversione di ciclo il fatto che ci siano incertezze ovunque", ha risposto ad una domanda sui rischi ancora esistenti. Saccomanni ha osservato però che "mentre in passato la politica economica era tutta improntata sulle restrizioni e ci si affidava solo alla domanda esterna, ora il quadro sta cambiando: ora c'é anche un supporto interno certo", ha sottolineato, citando ad esempio i rimborsi per i debiti della pubblica amministrazione. (http://www.ansa.it/)

Il governo studia la possibile cessione di quote nelle aziende pubbliche, in testa Eni, Enel e Finmeccanica. Ad aprire su questa ipotesi è il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni, in un'intervista a margine del G20 in Russia. Parole che però scatenano un coro di “no” dai sindacati e dalla politica, con Grillo che ne approfitta per attaccare il ministro. E il Tesoro a distanza di qualche ora è costretto a frenare: dal ministro nessuna specifica ipotesi di vendita. Eppure ai microfoni di Bloomberg tv Saccomanni è chiaro: «Abbiamo annunciato di accelerare lo schema di privatizzazioni che riguarda gli immobili, ma stiamo anche considerando la possibilità di ridurre la nostra partecipazione nelle società controllate dallo Stato». E ai giornalisti che chiedono esplicitamente di Eni, Enel e Finmeccanica risponde: «Sì, stiamo considerando questo. C'è un numero di questioni da affrontare, perché queste società sono redditizie e danno dividendi al Tesoro, così dobbiamo considerare anche la possibilità di usarle come collaterali per la riduzione del debito. Spero che prima della fine dell'anno avremo chiaro quale sarà la nostra visione per una strategia complessiva per un piano di riduzione del debito».A correggere il tiro interviene il Tesoro, prima per precisare che «il governo intende valorizzare i propri asset e quindi non esclude in futuro un piano di valorizzazioni che include le partecipazioni delle quali è in possesso» e poi per puntualizzare che «specifiche ipotesi di vendita riportate da organi di informazione non sono state formulate dal ministro», che non ha mai fatto il nome di specifiche società. (UnioneSarda


"Oggi Letta sta pensando di inserire (da qualche parte) un emendamento che permetta la vendita di un bene alla volta. In ballo ci sono cifre grosse: l’intero patrimonio immobiliare dello Stato vale 500 miliardi di euro.
Ma la privatizzazione più imponente è quella che potrebbe interessare i beni “di famiglia”, ossia le aziende a partecipazione statale che erogano servizi fondamentali alla comunità.

Privatizzazione Ferrovie dello Stato – Pur essendo già spacchettata in Trenitalia e Rfi, è una partecipata dello Stato ancora al 100%. Qui c’è molto da vendere e molto da guadagnare. Si tratta, anche, di garantire un livello competitivo tale da incrinare la formidabile ascesa di Italo, che è invece totalmente privata.
Privatizzazione Poste Italiane – La “statlità” dei servizi postali è da sempre un pilastro della vita del Paese (anche qui siamo di fronte a una partecipata dello Stato al 100%). Letta però è incoraggiato, in questa opera di privatizzazione, dalla vendita della Royal Mail organizzata dal Regno Unito, altra realtà generalmente legata al concetto di servizio pubblico.
Privatizzazione Fincantieri – 100% partecipata statale anch’essa, è considerata un po’ come la patata bollente da passare in mano altrui. La società armatrice è infatti in crisi, dunque perché non appoggiarsi a qualche realtà privata? Prodi ci provò nel 2007 – nell’operazione c’era anche Enrico Letta – ma si scontrò con il parere sfavorevole dei sindacati. Oggi la situazione è diversa, siamo in uno stato emergenziale e questo potrebbe ammorbidire le posizioni della Cgil." (Investireoggi)

Saccomanni non è altro che  lo strumento della longa manus delle élite private  in seno al governo italiota  che  spinge verso il sostegno degli interessi privati della lobby  rappresentata .. 

venerdì 19 luglio 2013

F35, la rotta di collisione Partiti divisi sull'acquisto dei 90 caccia dell'americana Lockheed Si ipotizza una spesa di 14 miliardi. Il voto di Camera e Senato


F35, la rotta di collisione Partiti divisi sull'acquisto dei 90 caccia dell'americana Lockheed Si ipotizza una spesa di 14 miliardi. Il voto di Camera e Senato

di Augusto Ditel
www.unionesarda.it

Una lettera: F. Due numeri: 35. Trilogia di guerra, scenari d'attacco a potenze straniere secondo input americani. Eppoi, soldi, tantissimi soldi per acquistare questi cacciabombardieri di quinta generazione a tecnologia avanzatissima, costruti dalla Lockheed. F35 Lightening II è il nome di un programma militare conosciuto anche come Joint strike fighter , lanciato dagli Stati Uniti insieme con altri otto Paesi alleati, tra cui l'Italia, all'inizio degli anni '90. I soldi in ballo sono talmente tanti che tutti danno i numeri, ma nessuno sa quantificare con esattezza l'impegno finanziario del nostro Paese. 

TIPO A E B 

Comunque, non si tratta di bruscolini. L'F35 di tipo A (quello a decollo tradizionale) costa poco meno di 100 milioni di euro; per l'altro (tipo B), a decollo rapido simile a quello di un elicottero per intenderci, occorrono sui 107 milioni per macchina. Secondo calcoli approssimati per difetto, dopo la riduzione del numero dei velivoli (da 131 a 90) decisa dall'allora ministro del governo guidato da Mario Monti, Giampaolo Di Paola, le risorse da impiegare sfiorano i 14 miliardi. Ma per esempio il Movimento 5 Stelle ritiene che, alla fine l'Italia, se non si darà una mossa, ne spenderà 50, di miliardi.

LE POLEMICHE 

Il dibattito sull'opportunità di alimentare la corsa agli armamenti, con cifre colossali, in un momento come questo, è assai articolato. Montano le polemiche perché si ha l'impressione che la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica non comprenda né tantomeno giustifichi la spesa, e le stesse forze politiche si sono lacerate su due mozioni, votate a maggioranza da Camera e Senato. Tra i partiti che sostengono il governo, il Pd è quello più attraversato da correnti contrarie. 

LA CAMERA 

Hanno cominciato i deputati, lo scorso 26 giugno (381 sì, 149 no), col dire sì a una mozione della maggioranza che non blocca per nulla (si potrebbe dire che congela) l'acquisto degli F35, e rimanda ogni decisione al voto del Parlamento.
A Montecitorio la mozione presentata da Sel e Movimento 5 Stelle prevedeva l'annullamento dell'acquisto, ma è stata respinta (136 a favore, 378 contrari). Un no secco, questo, che ha prodotto una diaspora tra i Democratici, molti dei quali invitano i compagni a non confondere le esigenze di Difesa, da quelle del welfare. La stessa Valentina Sanna, ieri, nel dimettersi da presidente dell'assemblea regionale del Pd ha fatto riferimento alla vicenda degli F35.
Giusto per restare in Sardegna, se da un lato il capogruppo del Pd in Commissione Difesa, Gian Piero Scanu, ha detto sì alla mozione di maggioranza, dall'altro Mauro Pili, del Pdl, è stato l'unico parlamentare sardo di una forza politica che sostiene il Governo di Enrico Letta a schierarsi con le opposizioni.


IL SENATO 

Il voto del Senato è di martedì scorso: 202 sì, 55 no, 15 astenuti. Simile il contenuto della mozione di maggioranza: rinvio di ogni determinazione su quanti aerei comprare, secondo il volere del Parlamento, come prescrive l'articolo 4 della legge 244 del 2012. Contrari, anche a Palazzo Madama, Sel e M5S. In quest'ultimo gruppo il no più covinto agli F35 è arrivato dal senatore cagliaritano Roberto Cotti, autore di una clamorosa protesta: in aula ha indossato una giacca tricolore e la bandiera della Pace, poi se l'è tolta su invito del presidente Piero Grasso. Molto più marcato, al Senato, il malessere (!) nel Pd. L'alfiere della contestazione è l'ex magistrato Felice Casson, in dissenso con l'indicazione di partito e dunque d'accordo con Sel e M5S. Come lui la pensano Laura Puppato e il giornalista Corradino Mineo.

Per una nuova indipendenza, le sfide del Partito dei Sardi


Per una nuova indipendenza, le sfide del Partito dei Sardi

di GIORGIO PISANO
www.unionesarda.it


Franciscu Sedda
Gli stati generali del nuovo indipendentismo sono convocati domani (sabato 20 luglio 13) a Losa per assistere al battesimo quasi ufficiale d'una ultimissima creatura politica: il Partito dei Sardi. Obiettivo: correre (e possibilmente vincere) alle prossime elezioni regionali. Dietro si muove Franciscu Sedda, semiologo all'università di Tor Vergata, transfuga dall'Irs di Gavino Sale e da Progres di cui era padre legittimo. Con lui c'è Paolo Maninchedda, prof universitario a Cagliari, plurischierato, nel senso che ha attraversato l'universo dal pianeta Dc al centrosinistra per transitare poi in area sardista e riproporsi adesso in veste inedita.
Trentasette anni, sposato a una militante (Ornella), una figlia (Soliana), un bel manifesto politico alle spalle ( I sardi sono capaci d'amare ), Sedda si lancia in questa avventura «con l'entusiasmo dell'evoluzione».

Che vuol dire?«Significa che mi sono liberato da un'idea vecchia e folcloristica di indipendentismo, dalla logica dei duri e puri che però non contano niente. Ai sardi dico che dobbiamo liberare la parte migliore di noi e diventare sovrani in casa nostra, come accade a Malta, in Scozia o in Catalogna».

Che significa sovrani?«Recuperare, per esempio, quei diritti sanciti dallo Statuto eppure ignorati. In questa logica si spiega la battaglia per creare un'Agenzia sarda delle Entrate. Dopo la raccolta di firme, aspettiamo che il Consiglio regionale la faccia diventare legge».

Andate soli alle elezioni?«Noi confidiamo di far parte del cartello di centrosinistra. Non credo ci siano problemi anche perché il nostro programma di governo ha molti punti in comune con quell'area».

Candidato presidente?«Quasi certamente Paolo Maninchedda».

Strana alleanza la vostra, no?«No. Maninchedda ed io siamo profondamente diversi ma il Partito dei Sardi non deve far le pulci a nessuno. È già una vittoria saper guardare oltre, verso il futuro. In fondo, chiediamo di liberare la parte migliore di noi stessi. Eppoi, Maninchedda è l'unico consigliere regionale che ha presentato una mozione sull'indipendentismo».

I compagni di ieri che ne dicono?«Ci siamo confrontati ma non c'è stato nulla da fare. Avremmo voluto unirli, fare fronte comune, ma ha prevalso la divisione: ognuno per conto proprio, ciascuno con certezze sacrali, inviolabili».

Cosa manca ai sardi per acquisire coscienza nazionale?«La capacità di guardare al presente e alla storia di questa terra. Già nel dodicesimo secolo Barisone parlava di sovranità dei sardi, sovranità di un popolo che decide il destino comune. Da allora non siamo cresciuti granché».

Però restiamo liberi di lamentarci.«Appunto. Non siamo riusciti a svezzarci da vizi antichi come quello del vittimismo. Non ci ha aiutato, negli anni, la classe politica: è rimasta inerte e passiva di fronte al governo di Roma anche nel caso, come succede per le entrate fiscali, di diritti sacrosanti».

E i sardisti, che dire dei fratelli coltelli?«Il Psd'Az ha fatto da tempo una scelta di centrodestra che noi non condividiamo. Ne prendiamo atto: il partito di Giacomo Sanna è una delle tante sfaccettature di un malinteso senso dell'indipendentismo. Non è un caso che Maninchedda sia separato in casa nel gruppo consiliare per evidente incompatibilità».

Piccoli e fragili: come pensate di superare lo sbarramento?«Faremo parte di una coalizione piuttosto ampia e questo ci metterà al riparo dal rischio di restare a bocca asciutta, fuori dal prossimo Consiglio regionale».

L'incognita 5 Stelle vi preoccupa?«Non più di tanto. Si tratta di un movimento che ha dato un forte segnale di rottura ma ha finito poi per perdersi in questioni di nessun valore. Ho la sensazione che dopo il boom elettorale alle Politiche, i grillini siano adesso in fase calante. La novità siamo noi».

Ugo Cappellacci vi ha deluso?«Ha governato il vuoto per quattro anni mentre negli ultimi dodici mesi ha riscoperto un attivismo sorprendente impadronendosi, tra l'altro, di battaglie che non gli appartengono. Sto parlando, giusto per capirci, di sovranità fiscale. Dovessi fare un bilancio direi che la giunta Cappellacci ha sprecato il suo tempo e, purtroppo, quello di tutti noi».

L'opposizione ha funzionato?«Poteva certamente fare di più. Si è trovata spesso in panne, divisa e polemica al suo interno. La mia impressione è che abbia svolto il suo ruolo per senso del dovere piuttosto che per convinzione. È mancata la grinta necessaria, la consapevolezza di quella che noi chiamiamo costante esistenziale».

Che sarebbe?«A differenza di quella resistenziale di cui parlava il professor Lilliu, la costante esistenziale è la conquista d'una consapevolezza: capire chi siamo, quali siano i nostri diritti, dove dovremmo puntare. Per questo vogliamo creare un Partito dei Sardi in Europa».

La variabile Michela Murgia?«È una libera cittadina, siamo in democrazia e dunque può fare quello che crede».

Non la sentite affatto vicina. Eppure è indipendentista.«Quando abbiamo avviato il nostro progetto, Paolo Maninchedda ed io abbiamo scommesso sull'unità, sul raggruppamento delle varie anime indipendentiste. Che però hanno scelto altre strade».

Lei, ad esempio, perché ha abbandonato Progres?«Perché non mi piace un indipendentismo che si parla addosso, che si chiude nel fortino della purezza ideologica per guardarsi allo specchio. Preferisco scendere in piazza per conquistarmi la fiducia di quelli che ancora indipendentisti non sono; preferisco parlare ai sardi, a tutti i sardi, senza fare le pagelle dei buoni e cattivi o la selezione sulle aree di provenienza».

Insomma, siete la differenza.«Non abbiamo questa pretesa. Più semplicemente usciamo da una logica che ci sembra superata. La sovranità che rivendichiamo non è diversa da quella scozzese che a settembre del 2014 vota un referendum per presentarsi in Europa come Stato membro».


E questo ha un senso?«Eccome. Vorrei che i sardi si rendessero conto delle condizioni in cui ci fanno vivere: penso a mia figlia e mi chiedo quale sarà il livello delle scuole che l'aspettano, quale sanità, perfino su quali strade dovrà camminare. Noi vogliamo costruire uno Stato, non vogliamo continuare a subire l'arbitrio della centralità romana su questioni per noi fondamentali. Eppoi, credo d'aver già vinto».

Già vinto?«Beh, molte tematiche di quindici anni fa oggi sono all'ordine del giorno. Quello che allora non avevamo capito è il rapporto con gli altri: non basta la qualità delle proposte, bisogna conquistare il consenso e, col consenso, il diritto a governare. Finora siamo rimasti trincerati su posizioni che avevano invece bisogno di una verifica popolare».

Per questo ha rinnegato i sacri padri, cioè Bellieni e Lussu?«Ci hanno fatto credere che l'autonomia fosse il massimo dei risultati possibili. Ed è sbagliato. Aveva ragione chi, come Antonio Gramsci, diceva che non si deve dissertare di politica ma viverla pragmaticamente. Uscire allo scoperto, insomma».

È questo che vi separa dagli altri?«Ci dividiamo su fatti concreti. La situazione muterebbe radicalmente se avessimo un'Agenzia che incassa i tributi pagati dai sardi e, una volta detratta la parte che spetta alla regione, versa il resto allo Stato. Oppure, visto che i soldi in cassa li abbiamo noi, riapre qualche contenzioso rimasto impiccato. Ci ritroveremmo il coltello dalla parte del manico. E questa è già una rivoluzione».
pisano@unionesarda.it

martedì 16 luglio 2013

PRO DARE SA PARAULA A SA NATZIONE E DARE IDENTIDADE A SA CULTURA POLITICA NATZIONALE

PRO DARE SA PARAULA A SA NATZIONE E DARE IDENTIDADE A SA
CULTURA POLITICA NATZIONALE


Bustianu Cumpostu

COORDINADORI NATZIONALE
 DE SARDIGNA NATZIONE INDIPENDENTZIA

ANDALAS  PRO ASSENDERE A SOS STATI GENERALI DELLA NAZIONE SARDA
PRENDERE ATTO DEL DISASTRO
  • Il disastro, economico, politico, culturale, ambientale, energetico, di rappresentatività, psicologico, di autostima e di auto-fiducia, causato alla Sardegna ed ai Sardi è evidente e ormai difficilmente riparabile.
  • Le cause di tale disastro sono altrettanto evidenti e ricadono sul sistema che ha imposto, modelli, e tempi, che  ha elevato ad obiettivi il fallimento ed il disastro, ha perpetuato la dipendenza e impedito iniziative economiche o politiche fuori sistema.  
  • Un sistema complesso quello del disastro sardo, nel quale vere e proprie agenzie della dipendenza, create dal sistema politico e sindacale italiano hanno imposto la loro cultura politica, la hanno resa totalizzante ed hanno ridotto a suoi sottoinsiemi gran parte delle espressioni politiche di genesi e motivazione organiche alla nazione sarda.

INSUFFICIENZA DELLE ESPRESSIONI POLITICHE SARDE
  • Bisogna prendere atto che le espressioni politiche che la nazione sarda ha generato perché fungessero da anticorpi contro il sistema del disastro, non solo non sono state all’altezza di contrastare l’avanzamento del male ma in parte si sono trovate, non volendolo, coinvolte ed integrate nel sistema linfatico che lo alimenta.
  • Non serve a niente distribuire quote di responsabilità tra le espressioni politiche sarde, dobbiamo solo prendere atto della loro insufficienza   e della necessità di restituire le deleghe alla natzione sarda, aprire le gabbie e chiamare, insieme, la gente sarda a dare corpo collettivo e cervello collettivo alla nazione per avere un ruolo nel decidere e contrastare il sistema del disastro con una propria cultura politica, intesa in senso lato, anche in compartecipazione con la cultura politica italianista ma da essa disgiunta e con essa in concorrenza.

STATI GENERALI DELLA NATZIONE SARDA
  • Quando si è in emergenza si chiama a raccolta tutta la famiglia ed ogni componente ha la sua quota di responsabilità ed ha il dovere di contribuire al superamento dell’emergenza, ma più di tutti hanno responsabilità le espressioni politiche e culturali che la famiglia ha generato in base ai propri bisogni, interessi ed aspettative. Spetta a loro, sintesi organizzate della nazione, leggere l’emergenza, valutarne la gravità e proporre occasioni e modi per collettivizzare responsabilità e soluzioni.
  • Le sintesi organizzate della nazione, devono chiamare a consulto gli STATI GENERALI DELLA NAZIONE SARDA, formare un gruppo di serietà nazionale e creare le condizioni perché LA CULTURA POLITICA SARDA entri nello scenario, batta i propri tempi, determini azioni e proposte proprie, viva, pur in compartecipazione, di vita propria e non di supporto o contrasto alla cultura politica italiana.
  • Le sintesi “sardiste” hanno il dovere di creare spazio vitale alla cultura politica sarda e di creare spazio e motivazione politici di esistenza anche per se stesse, che altrimenti non avranno capitale politico autonomo ma solo all’interno del contesto “italianista”.
  • NON DEVE ESSERE UN EVENTO INTERNO ALLA CONTINGENZA ELETTORALE E FINALIZZATO AD ESSA, ma deve entrare dentro il contesto ricettivo indotto da tale evento, polarizzare l’attenzione aprendo un sipario più serio e in alternativa a quello presentato dalle comparse sarde negli scontri di potere che vanno in scena nel teatro italiano.
  • Ogni sintesi “sardista” deve essere lasciata libera di continuare le sue trattative elettorali, tale argomento non deve essere motivo di scontro ma  non può neanche essere usato per nascondere, alla nazione, i propri intenti, omettere proposte e rifiutare condivisioni.
  • Se le condivisioni si riscontreranno nelle parole, si creeranno le condizioni perché si concretizzino nei fatti,  chi non sarà coerente verrà valutato dalla gente sarda, dagli stati generali della natzione sarda.
  • Non ci dovranno essere schemi o pregiudiziali, ne graduatorie di sardismo o di indipendentismo e l’ambito di riferimento sarà quello del nazionalismo, di coloro, sardi, che pensano che la famiglia di riferimento sia la nazione e non lo stato e che credono che le libertà collettive nascano dal rispetto e dalla tutela delle particolarità nazionali e non dagli interessi degli stati.


No isco si so resessidu in sa punda, ma ispero de aere abertu un’andala.

Cun istima manna
Bustianu Cumpostu


domenica 14 luglio 2013

SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA

SU SARDU EST LIMBA. IN SU 2001 A SU PROTZESSU CONTRAS S'ENEL IS INDIPENDETISTAS CHISTIONANT IN LIMBA


Juanne Zoseppe Bandinu


In limba contro l’Enel davanti al giudice. Primo processo col traduttore per gli indipendentisti sardi che occuparono la sala comandi della centrale: «per denunciare le maxibollette applicate nell’Isola».


L'Unione Sarda | 11 dicembre 2001

Sassari. “Porte aperte alla centrale”, era un vecchio slogan dell’Enel. E loro, indipendentisti doc, lo hanno preso alla lettera e sono entrati dritti dritti prima nella sala comando della termocentrale di Fiumesanto e poi nell’aula di un tribunale che ha battezzato il primo processo in limba.

Accusati di minacce, resistenza a pubblico ufficiale eccetera eccetera, gli otto del commando Amsicora, col dovuto rispetto per il giudice “straniero”, la loro battaglia l’hanno già vinta: portare a conoscenza di tutti il grande salasso energetico inflitto ai sardi. Una bolletta che nell’Isola pesa oltre il quaranta per cento in più rispetto agli utenti del resto d’Italia. Cavallo di razza cavalcato, dopo l’incursione,un po’ da tutti i partiti politici.


Ieri finalmente si è aperto il processo, con tanto di traduttore ufficiale per la prima volta nella storia. Il professor Michele Pinna, docente universitario di Lingua e letteratura sarda alla facoltà di lettere e filosofia, ha accompagnato con la versione in italiano le dichiarazioni spontanee di Giovanni Pietro Marras, meglio noto come “Zampa” e Gavino Sale, leader di Sardigna Natzione (attualmente coordinatore di IRS, ndr) all’epoca responsabile della Commissione politiche energetiche del partito.


Il giudice Guido Vecchione ha fatto capire subito che aria tirava, allontanando l’ex interprete, arrivata in aula con bavaglio alla bocca e cartelloni appesi al collo, a denunciare l’ennesima ingiustizia. L’avevano esclusa perché la sua domanda di iscrizione all’albo dei traduttori ufficiali era stata redatta soltanto in lingua sarda, senza traduzione in italiano. «Niente sceneggiate, prego», e dopo la decisione del giudice l’interprete si lascia accompagnare fuori.


Poi l’aula si riempie, “Zampa” Marras, sotto l’inseparabile berritta, prova a raccontare i suoi natali. «Si attenga ai fatti». Quello che accade il diciannove ottobre di quattro anni fa non è casuale, dice Zampa. È stato pensato due mesi prima, vista l’inutilità di convegni e volantini e la scarsa incisività di sporadiche apparizioni sul giornale. Stavolta sulla carta stampata vogliono apparire ben bene, caratteri in neretto, per un’azione clamorosa quanto pacifica.


A “Porte aperte” loro ci sono, otto patrioti del commando: «due donne coraggiose e sei uomini arditi». Ma, sottolineano al giudice, sempre nel pieno rispetto della legalità: «decisi a denunciare l’Enel, che dal 1962 ha estorto alle famiglie e alle industrie sarde all’incirca ottomila miliardi di lire».


Mai nessun accenno alle armi? chiede il giudice Vecchione. «Mai, per me tutte le armi del mondo depen esser fattas a chijina», devono essere ridotte in cenere, chiarisce l’interprete. Per Gavino Sale non ci sono dubbi. Ma quali armi, l’unica arma era il suo Tritolo, compagno di commando così chiamato per le sue esplosioni di allegria, così contagiose. Soltanto un equivoco. «Non ci siamo mai qualificati come gruppo armato, mai abbiamo avuto l’intenzione di abbassare quella leva e spegnere la centrale elettrica, privando della luce i fratelli sardi. Questo era piuttosto l’intendimento dell’ingegner Signoriello, il metodo più veloce per far intervenire i carabinieri. Noi lo abbiamo dissuaso». Le domande dell’avvocato Teresa Pes sono filtrate senza traduttore, per risparmiare sui tempi altrimenti infiniti del processo. Che si concluderà soltanto il sette febbraio ma per un problema tutto avvocatizio.


Tutto a posto quindi, il traduttore c’era, il processo si è tenuto regolarmente, il sardo è entrato ufficialmente in un’aula giudiziaria, accompagnato da telecamere e macchine fotografiche.

Articolo di Patrizia Canu.

sabato 13 luglio 2013

SHA'AR HA BA'AL!

SHA'AR HA BA'AL!

Vàturu Erriu Onnis Sayli 

sa defenza

A San Giovanni in Sinis si è consumato un lauto pasto culturale, il Prof Gigi Sanna esperto studioso di lingue antiche ha esposto agli astanti le sue teorie sulle scritte scoperte  presso: "SHA'AR HA BA'AL" era la "LA PORTA DEL SOLE" conosciuta oggi come la sala da ballo, antica cava nuragica bagnata  dal mare nella penisola del Sinis nel comune di Cabras (OR)  -Sardinya- .

I partecipanti , una cinquantina di persone appassionate di studi su "la nuraxia  e sa limba de is etzus" guidati dal Prof Gigi Sanna , hanno approfondito e sviscerato il significato delle antiche iscrizioni presenti  presso SHA'AR HA BA'AL , vedi immagine sottostante.


riproduzione pittografica dei segni e scritte nuragiche presso SHA'AR HA BA'AL effettuate dal Prof Gigi Sanna
La giornata è stata, a dir poco, radiosa ; le intelligenze degli astanti che pressavano il prof Sanna di domande prima: circa  la veridicità e la non falsità dei pittogrammi ha impegnato il Prof in lunghe e profuse disquisizioni scientifiche,  esposizioni suffragate anche da tecnici presenti in loco,oltre a intellettuali e studiosi di arkeo come la Dott. Aba Losi, inoltre tecnici e studiosi di posizioni  mappali; hanno spiegato come le  coordinate geografiche costruite con precisione dettata agli scultori dagli antichi scribi nuragici era importante per la precisione usata e con dovizia affinché la caduta precisa del del solstizio estivo sull'immagine del viso nello spigolo della roccia fosse delineata pienamente al sopraggiungere del crepuscolo del solstizio estivo, ove si tenevano riti religiosi in onore di NU-Ra porta di LUCE che  si può osservare nell'immagine sottostante .


pittogrammi nuragici indicanti la porta della luce


Il prof Sanna, spiega i pittogrammi , la tanit una specie di pupattola , segno protocananaico simile allo schema dentro il brassard; il segno a T e quello simile a C sembrano segni romani ma non lo sono , sono segni antichissimi; il resch , il pittogramma è un disegno e sembra ciò che non è conosciuto. Sui segni che si ripetono , continua il Prof.,   sono segni da noi conosciuti, come ad esempio il serpente che è l'attuale N, o la testa del toro è una Aleph .. l'occhio la consideriamo che sia un'inclusione della roccia , ma, questo ispira un occhio di RA,  poi c'è un NUR luce , in pratica i pittogrammi possiamo ipotizzare essere una frase del tipo: Lui è luce dell'occhio di RA. il pittogramma è Resh è la testa, l'aleph del toro. Se va bene questa lettura la lettera T può rappresentare he e yod. Valori fonetici sulle conoscenze degli oltre 150 simboli nuragici conosciuti,così interpretiamo: testa di colui che da la vita.



La dr.sa Aba Losi mostra l'immagine, un viso a forma di goccia,  che ha ritratto poche ore prima sulla riva rocciosa sotto la città nuragica di Tharros,  spiega,  sia  di sicura fattura  nuragica.

Sotto il Prof Sanna  spiega le iscrizioni, trovate casualmente da un appassionato ricercatore di segni antichi qual è Stefano Sanna; che apparentemente a prima vista sembrano lettere latine , mentre nella decriptata realtà sono segni e pittogrammi nuragici che il prof. ci spiega ampiamente  con la dovuta sapienza e conoscenza delle lettere antiche scritte sulla roccia, con  vista a mare,  dagli antichi sacerdoti amanunensi nuragici.


venerdì 12 luglio 2013

LO SCANDALO DELLE INTERCETTAZIONI E LE PROSPETTIVE DI UNA NATO "ECONOMICA"

LO SCANDALO DELLE INTERCETTAZIONI E LE PROSPETTIVE DI UNA NATO "ECONOMICA"



DI VALENTIN KATASONOV
















http://www.strategic-culture.org

La zona di libero commercio Stati Uniti/Europa, destinata a promuovere l’integrazione economica, è ora al centro dell’attenzione mediatica mondiale. Per descrivere il progetto viene utilizzato un termine molto accattivante: “NATO Economica”. La questione risale al 2011 e negli ultimi sei mesi ha attirato l’attenzione dei media di tutto il mondo. Lo scorso Febbraio, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama e Josè Manuel Durão Barroso, attuale Presidente della Commissione Europea, hanno espresso la loro disponibilità a dare il via al dibattito sul progetto. Durante il G8 di giugno scorso in Irlanda è stata fissata la data d’inizio dei dibattiti: l’8 Luglio del 2013.

Liberarsi dei dazi doganali ed altre limitazioni può seriamente dare un notevole impulso allo sviluppo economico dell’America del Nord e dell’Europa. E’ vero, già ora i dazi sono molto contenuti, non superano il 5/7% in media. Ma il volume d’affari annuale del cargo marittimo raggiunge quasi il mezzo trilione di euro; quindi il gettito doganale sugli scambi va misurato in milioni e milioni di euro. Esempio: nel 2010 le società chimiche europee hanno versato agli Stati Uniti dazi doganali per circa 700 milioni di euro. Lo stesso vale per le società chimiche statunitensi: hanno pagato all’Europa quasi un miliardo di euro di dazi. 

L’integrazione transatlantica ha delle implicazioni economiche. Le previsioni americane ed europee di PIL, crescita delle esportazioni e dell’occupazione e riduzione del deficit commerciale, sono molto differenti tra loro. 

Spesso si fa riferimento alle cifre fornite dal Primo Ministro Inglese Cameron, che recentemente ha detto che nel giro di pochi anni l’accordo sul libero scambio farà aumentare il PIL europeo di 100 miliardi di sterline (circa 157 miliardi di dollari americani), quello statunitense di 80 miliardi di sterline e il PIL del resto del mondo di 85 miliardi di sterline. 

Secondo la Camera di Commercio statunitense, liberarsi una volta per tutte dei dazi transatlantici avrà come effetto un incremento del volume d’affari degli scambi commerciali di oltre 120 miliardi di dollari entro cinque anni. Il capo della Commissione Europea, Barroso, ha affermato che l’accordo darà un grosso impulso al PIL dell’Unione Europea di mezzo punto percentuale. Secondo lui il reddito sarà misurato in miliardi di euro e verranno creati molti nuovi posti di lavoro: decine e decine di migliaia di cittadini europei troveranno nuove occupazioni. 

Ovviamente, non si tratta solo di economia. L’accordo sul libero scambio, più in generale, allevierà la piaga della civiltà occidentale “pressata” dai paesi al di fuori della zona del “miliardo d’oro”, primo fra tutti la Cina, poi i BRICS (1) ed altri paesi in via di sviluppo. Agli europei questo importa poco, ma per gli USA si tratta di una questione di importanza vitale. Più di una volta Barack Obama ha ribadito che l’accordo tra Stati Uniti e l’Europa non solo assicurerà alle società americane accesso illimitato al mercato europeo, incrementerà le esportazioni e l’occupazione e avrà effetti positivi sul deficit di bilancio, ma cambierà anche i rapporti strategici tra gli Stati Uniti e l’Asia. Ed è proprio su questo ultimo punto che Washington tenta di celare il vero scopo dell’integrazione commerciale transatlantica. 

Zona di libero scambio USA/Europa: pro e contro 

Ecco qui riassunte le opinioni espresse al riguardo da politici, uomini d’affari ed esperti in materia. 

Primo: ci sono scettici da entrambi i versanti dell’Atlantico. Non dicono che non ci saranno effetti positivi per le economie americane ed europee, ma insistono nel dire che le previsioni di aumento degli scambi commerciali, PIL e occupazione sono esagerate. Anche se tali previsioni si rivelassero esatte e oltre ogni dubbio, la crescita attesa non sarebbe comunque sufficiente a tirar fuori l’economia del “miliardo d’oro” dalla crisi in cui ristagna. 

Secondo: ci sono degli europei che temono che con l’avvento dell’accordo di libero scambio transatlantico il “Grande Fratello” si rafforzerà ulteriormente. Dopo la Seconda Guerra Mondiale Washington ha usato gli strumenti della NATO per assumere il controllo delle politiche militari e delle forze armate dell’Europa occidentale. L’accordo di libero scambio transatlantico è visto come una versione “economica” della NATO, che finirà con il destituire l’Europa di ogni sua sovranità. Molti politici europei pensano che questo sia il momento sbagliato per avviare i colloqui con gli Stati Uniti sull’argomento. L’Unione Europea sta attraversando una profonda crisi (2) (di debito, di bilancio e dell’economia), cosa che dà maggior peso contrattuale agli Stati Uniti al tavolo di discussione. 

Altri canali d’informazione minimizzano, sostenendo che le parti dovranno soltanto trovare un accordo sull’eliminazione di tutti i dazi doganali e consentendo la libera circolazione di beni e servizi nello spazio economico transatlantico. Ma ci sono anche altri strumenti oltre ai dazi che proteggono i mercati e gli esportatori, ad esempio gli standard ambientali, le sovvenzioni, le tasse (agevolazioni e esenzioni dal pagamento dei dazi), le condizioni di accesso ai prestiti, ecc.
Le posizioni di alcuni attori del mercato mondiale sono determinate dalle loro prerogative di emissione di denaro, con le banche centrali che agiscono come centri di emissione. Nel caso della NATO Economica, Washington prenderà subito il controllo, grazie ai vantaggi che gli derivano dal sistema della Federal Reserve. Per quanto deboli siano alcuni suoi punti, sarà sempre più forte della BCE. I mezzi d’informazione del vecchio mondo spesso presagiscono che un giorno, nel futuro, l’industria cinematografica europea sarà completamente fagocitata da Hollywood. Anche i difensori dei diritti dei consumatori e gli ecologisti sono alquanto scettici. Yannick Jadot, un europarlamentare, Gruppo dei Verdi / Alleanza Europea Libera, presagisce l’invasione dei prodotti statunitensi in Europa e inorridisce al pensiero di cibi geneticamene modificati, carni agli ormoni e al cloro sui banchi dei supermercati. C’è un grosso divario tra gli standard di sicurezza dei prodotti americani e quelli europei, basati su criteri molto differenti. 

Terzo: i paesi che verranno tagliati fuori della zona di libero scambio transatlantico esprimono forti preoccupazioni. Nel caso in cui tale progetto venisse portato a compimento, l’area interessata coprirà quasi il 50% del PIL mondiale (Messico e Canada ne faranno parte, essendo membri del NAFTA - North American Free Trade Agreement). Esiste una forte possibilità che l’Australia e la Nuova Zelanda entreranno a far parte di questa alleanza integrata. A quel punto il “miliardo d’oro” consoliderà commerci ed economie al suo interno, danneggiando inevitabilmente il progresso economico dei paesi esterni, come la Cina, i BRICS ed il Giappone. 

La bagarre delle intercettazioni 

Non appena è stata fissata all’8 luglio 2013 la data di inizio dei colloqui tra USA ed Europa sulla zona di libero scambio, è scoppiato lo scandalo causato dalle rivelazioni di Edward Snowden su alcuni servizi speciali dedicati ad attività di spionaggio. E l’Europa era proprio il bersaglio principale di queste attività. Sul primo, Washington ha affermato che le attività di intercettazione e di controllo dei messaggi internet erano limitate a personaggi stranieri ad alto profilo, e il solo scopo era quello di prevenire azioni terroristiche. Poi si è venuto a sapere che anche personaggi dell’Unione Europea e di Paesi Membri dell’Unione fossero oggetto di intercettazione “a scopo di prevenzione anti-terroristica”. 

Sotto osservazione 38 tra ambasciate e missioni, considerate dagli USA come bersagli, compreso il quartier generale dell’Unione Europea a Bruxelles; Francia e Germania (3) gli obbiettivi principali: ogni giorni venivano monitorate due milioni di telefonate di persone francesi e quindici milioni di persone tedesche. Berlino e Parigi hanno già preteso spiegazioni da Washington. Il Presidente del Parlamento Europeo Martin Schulz ha affermato che, nel caso tali sospetti saranno confermati, i rapporti bilaterali USA/Europa ne usciranno seriamente danneggiati. Il Commissario dell’Unione Europea per la Giustizia, Viviane Reding, ha detto che l’accordo di libero scambio è a rischio. E ha detto: “dei buoni partner non si spiano l’uno con l’altro”.

Spiare gli alleati… è routine 

Niente di nuovo sotto il sole. Lo scandalo delle intercettazioni in corso è solo un’illustrazione di quello che da tempo era già routine nel mondo “civile”. Basta ricordare ECHELON, la raccolta di segnali intelligenti (SIGINT) e il sistema analisi della rete. Fu sviluppato in seguito ad un accordo segreto concluso tra le intelligence degli USA, Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda. ECHELON era in grado di intercettare e controllare il contenuto di telefonate, fax, email ed altri traffici di dati, “spiando” gli strumenti di comunicazione quali trasmissioni satellitari, reti telefoniche pubbliche (che prima trasportavano la gran parte del traffico internet) e collegamenti a micro-onde. 

Era in grado di intercettare fino a 100 milioni di messaggi ogni mese. L’idea di raggiungere un accordo con altri stati e lo sviluppo del sistema, furono iniziati dalla NSA, Agenzia statunitense per la sicurezza nazionale. Gli elementi della rete sono sparsi in tutto il mondo – tra basi militari statunitensi in Germania, le installazioni in Gran Bretagna, nel Pacifico e ad Hong Kong. L’elaborazione dei dati si basa su parole chiave. Vengono utilizzati programmi avanzati di riconoscimento vocale e ottico (OCR) per individuare parole o frasi chiave (chiamate “Dizionario Echelon”) che avrebbero allertato i computer nel segnalare i messaggi per la registrazione o la trascrizione, per le analisi successive. Se s’ inserisce la parola “microprocessore”, ad esempio, il sistema inizia a cercare il termine in tutte le telefonate, messaggi, fax e messaggi elettronici intercettati. L’unica cosa che restava da fare era di capire chi e perchè aveva utilizzato quel termine e chi era il suo interlocutore. 

Secondo esperti occidentali indipendenti, più dell’80% delle intercettazioni sono utilizzate per spionaggio industriale. Echelon è un sistema di spionaggio mondiale. Non favorisce tanto gli interessi del “miliardo d’oro”, ma piuttosto quelli della comunità anglo-sassone, che considera tutti gli europei, tranne i britannici, come rivali da tenere sotto osservazione. Faccio solo un esempio: nel 1995 trapelò la notizia che la National Security Agency utilizzasse ECHELON per intercettare tutti i fax e le telefonate tra il Consorzio AIRBUS e la compagnia aerea nazionale saudita. Si seppe così che AIRBUS pagava laute mazzette ai sauditi per convincerli a concludere l’affare da 6 miliardi di dollari. La National Security Agency passò queste informazioni al governo degli Stati Uniti, il quale riuscì invece a convincere i sauditi a concludere il contratto con Boeing e McDonnell Douglas. Kai Hirschmann, un tedesco esperto di intelligence, nel suo libro “Geheimdienste» (Servizi Segreti) del 2004, spiegava: Primo: dopo la Guerra Fredda l’intelligence economica divenne importantissima, superando e oscurando di gran lunga quella sul terrorismo. Nel 1990, infatti, lo stesso ex direttore della CIA Robert Gates disse che le questioni legate all’economia erano predominanti nella lista delle missioni dell’agenzia. Metà e più degli incarichi della CIA erano di natura economica. 

Secondo: in occidente l’intelligence economica si sommava allo spionaggio industriale delle società private. C’era una specie di “spartizione dei compiti” tra le agenzie d’intelligence private e pubbliche. Quelle pubbliche controllavano ministeri, agenzie di stato, organizzazioni internazionali, ambasciate e missioni commerciali per ottenere informazioni sensibili sulle politiche economiche, finanziarie, commerciali ed industriali dei vari paesi, oltre ad anticipare le posizioni che i vari paesi avrebbero preso in sede di colloqui internazionali, quali fossero gli accordi che stavano per concludere, compresi quelli nascosti, ecc. 

E’ chiaro che gli stati sono sempre coinvolti nello spionaggio industriale, anche se, di solito, limitatamente alle tecnologie militari. L’intelligence di stato svolge missioni che gli vengono assegnate da grandi aziende, soprattutto quando queste partecipano a grosse gare o sono in lizza per accaparrarsi ingenti commesse in paesi esteri. 

Terzo: molti servizi speciali occidentali spiano gli alleati. In altre parole, i paesi del “miliardo d’oro” si spiano a vicenda. E’ un fatto inevitabile in un quadro di competizione. 

Quarto: al giorno d’oggi, la gran parte dei dati viene acquisita con strumenti tecnologici, senza il contributo di intelligence “umana”. I metodi usati sono le intercettazioni, cimici installate negli uffici, nelle macchine, nei fax, sui cavi telefonici, rubando informazioni direttamente dai computer e dai server, elaborando flussi giganteschi di dati trasmessi via internet, accedendo ai messaggi di posta elettronica attraverso le connessioni Skype, ecc. 

Kai Hirschmann ci dice che è da lungo tempo ormai che gli stati fanno ricorso allo spionaggio industriale per avere dei vantaggi economici. L’occidente non è poi così diverso dai suoi “vecchi” amici di “oltre cortina”. Secondo le stime fatte, 23 paesi (compresi i grandi paesi dell’Est), spiano regolarmente gi Stati Uniti. In questo, va detto, gli USA sono impareggiabili. Nel 1994, parlando al Centro di Studi Strategici ed Internazionali, l’ex direttore della CIA James Woolsey disse che gli veniva sempre da sorridere quando le società gli dicevano che non avevano alcun bisogno dell’intelligence. La CIA li aveva già aiutati ad assicurarsi grossi contratti. E sembra alquanto verosimile, se si conosce bene questa materia. Quando i governi assegnano incarichi “economici” alle agenzie d’intelligence, viene naturale pensare che loro stesse sono oggetto di spionaggio sul proprio territorio, da parte di servizi speciali di paesi amici e non amici. 

Prospettive di libero scambio sullo sfondo dello scandalo delle intercettazioni 

Lo scandalo sollevato dalle recenti rivelazioni conferma che il fatto che i servizi speciali degli USA stessero spiando gli alleati Europei non è per niente una novità. La novità è che tutte le controversie di questo tipo in passato si svolgevano a porte chiuse. Ora è venuto tutto a galla. Nonostante tutte le velenose affermazioni rese pubblicamente da funzionari dell’Unione Europea e altri politici europei, non bisogna affatto aspettarsi alcun drastico cambiamento di rotta nei rapporti USA/EU. C’è una piccola possibilità che i colloqui sulla zona di libero scambio possano per ora essere annullati. Nella migliore delle ipotesi potranno essere rimandati di qualche settimana per far sbollire gli animi in Europa. E’ quello che alti funzionari francesi hanno proposto (i francesi hanno preso una posizione piuttosto dura sulla questione). Soprattutto la Germania si sente particolarmente umiliata dagli Anglo-Sassoni, sembra infatti essere il bersaglio primario degli sforzi di spionaggio della NSA. D’altro canto, la Germania è considerata la maggiore minaccia economica. Ciò è anche dimostrato dal fatto che la Germania è vista dagli Stati Uniti non come un paese alleato, ma come una nazione satellite. Angela Merkel, comunque, non sembra particolarmente infastidita: ha fatto sapere di non aver alcuna intenzione di abbandonare i colloqui e neanche di posporli. Alcuni media hanno insinuato che le rivelazioni di Snowden sullo spionaggio Americano sono parte di un deliberato tentativo da parte degli oppositori della “NATO Economica” di evitare la realizzazione della zona di libero scambio, o, perlomeno, di rallentarne la nascita. 

Bisogna dire che la vicenda ha fatto guadagnare agli Europei delle ottime carte, utili per guadagnare tempo e rafforzare le posizioni più deboli, in vista dei colloqui. C’è un’ampia varietà di argomenti all’ordine del giorno. Nessuno si aspetta di vedere l’accordo concluso entro un anno. Ci vorranno almeno due anni. E accadranno tante altre cose in questo tempo. Esempio: la seconda ondata della crisi economica e finanziaria che cambierà i rapporti di forza tra le parti. Secondo me, non possiamo fare alcuna previsione su come questi eventi influenzeranno l’esito dei colloqui USA/EU. 


Valentin Katasonov
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2013/07/07/spying-scandal-and-prospects-for-economic-nato.html
7.07.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di SKONCERTATA63 

1) http://www.strategic-culture.org/news/2013/03/30/brics-new-geopolitical-model-and-russia-foreign-policy-priority.html
2) http://www.strategic-culture.org/news/2013/06/23/discord-mounting-in-the-european-union-i.html 
3) http://www.strategic-culture.org/news/2013/07/01/the-way-anglo-saxons-spy-on-germans.html




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